Chi chiude gli occhi sulle mazzette
- Dettagli
- Categoria: Italia
Tre notizie che mostrano la cecità dei giornali quando si parla di corruzione
di Claudio Cerasa | 12 Marzo 2016
Ci sono tre notizie importanti che riguardano inchieste sulla corruzione che hanno trovato spazio e che troveranno spazio nelle prossime ore sui grandi giornali. Tre notizie che riguardano tre storie diverse ma che a vario titolo mostrano lo sguardo miope, superficiale ed eternamente pistarolo che la stampa italiana ha quando si parla di corruzione. La prima notizia è di ieri e riguarda un’inchiesta sugli appalti pubblici che ha portato a 19 arresti per tangenti tra dirigenti Anas e imprenditori. La seconda notizia è di due giorni fa e riguarda il proscioglimento di Ercole Incalza in un processo, legato alla costruzione della Tav di Firenze, in cui il manager era accusato di corruzione. La terza notizia è quella che avete letto tre giorni fa e riguarda una serie di arresti realizzata dalla Guardia di Finanza che ha coinvolto tredici persone, inclusi tre giudici, accusati di far parte di una “cricca” (ah, le cricche) in grado di pilotare ricorsi tributari e ottenere così sgravi fiscali. Perché ci interessano questi tre casi? Perché ciascuno di essi mostra un riflesso automatico della stampa italiana: raccontare, sulla corruzione, solo quello che i giornalisti ricevono dalle procure. Sul primo caso i giornali di oggi si limiteranno a raccontare la versione della procura (il mondo è pieno di persone accusate di corruzione) e ancora una volta si dimenticheranno di dire che la corruzione in Italia ha due facce, che accanto a chi corrompe e a chi si fa corrompere esiste uno stato complice della corruzione che non intervenendo sulla burocrazia moltiplica ogni giorno le occasioni in cui la corruzione può proliferare. Sul secondo caso, lo avete visto ieri, non essendo la notizia del proscioglimento di Incalza una notizia che fa comodo al bollettino delle procure, essa – come sempre capita in questi casi – resterà confinata nelle brevi dei grandi giornali.
ARTICOLI CORRELATI Il quindicesimo schiaffo di Incalza Meno gogne, più Incalza
Quando i magistrati toppano la ghiotta notizia diventa misteriosamente una non notizia: perché, vallo a spiegare ai tuoi lettori cresciuti a pane, prosciutto e infallibilità della magistratura che i magistrati non solo possono sbagliare ma capita sempre più spesso che toppino alla grande (tra il 1991 e il 2013 sono state oltre 22 mila e 300 le persone vittime di ingiusta detenzione o errore giudiziario). Per la stessa ragione in questi giorni, in virtù di un complesso che potremmo definire “sindrome pistarola”, non troverete sui giornali nessun Gian Antonio Stella e nessun Sergio Rizzo pronto a fare di tutta un’erba un fascio (inchiesta numero tre) e a dire che, siccome ci sono alcuni magistrati coinvolti in un’inchiesta che riguarda la corruzione, s’avanza in Italia una nuova “casta di intoccabili”. La sindrome pistarola, se così si può definire, ha una sua spiegazione quasi scientifica. Il Mulino, come ricordato qualche giorno fa da Massimo Bordin su questo giornale, nel suo primo numero del 2016 ha pubblicato un articolo di due docenti di Scienze politiche dell’Università di Perugia, Paolo Mancini e Marco Mazzoni, che ha per argomento il modo in cui la stampa italiana parla di corruzione. Mancini e Mazzoni hanno preso in considerazione, nel periodo dal 2004 al 2013, tutti gli articoli pubblicati sul tema da quattro quotidiani italiani: il Corriere della Sera, la Repubblica, il Giornale e il Sole 24 Ore. Gli articoli che hanno avuto per argomento la corruzione sono stati 46.239. Ogni giorno, per dieci anni, una media di almeno tre articoli per ogni testata. “In pratica – notano Mancini e Mazzoni – si parla di corruzione essenzialmente quando essa coinvolge ambiti di indagine giudiziaria”. Lo chiamano giornalismo d’inchiesta. Ma in realtà altro non è che giornalismo pistarolo. Diffidarne. Grazie.
Categoria Italia