Reggia di Caserta: un sindacato serio starebbe col direttore “che lavora troppo”
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Il direttore lavora troppo e le sigle sindacali inviano una lettera di rilevi al ministero, che si definisce «allibito». Lo saranno anche Camusso & co.?
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di Francesco Cancellato linkiesta, 4 Marzo 2016 - 17:54
Altro che petaloso. Dovrebbe essere Felicori, la nuova parola da inserire nel vocabolario. Declinata al plurale. E simbolo di tutte le persone che non parlano di cambiare le cose, che sono bravi tutti a farlo, ma provano a cambiarle davvero.
Come Mauro Felicori da Bologna, che è stato mandato dal Ministero dei Beni Culturali e da Matteo Renzi a rivitalizzare una struttura meravigliosa e morta come la Reggia di Caserta e che in pochi mesi da direttore è riuscito ad incrementare le presenze - febbraio 2016 su febbraio 2015 - del 70% rispetto all'anno precedente.
Uno si aspetterebbe applausi a scena aperta. E in effetti c’è gente che lo adora e che lo vorrebbe sindaco di Caserta. Perché Felicori, a Bologna, non ci torna nemmeno nel weekend. Gira la provincia, parla con le persone, prova a capire come mettere in sinergia un patrimonio inestimabile come la Reggia per farne davvero un volano economico e culturale per il territorio.
C’è un problema, però. Felicori lavora. Tanto, tantissimo. Entra in ufficio alle sette di mattina ed esce alle otto di sera, due ore dopo l’orario di chiusura della Reggia. Obbliga alcuni dipendenti a rimanere con lui, dopo aver cambiato loro mansioni. Gira per i saloni e i giardini, controllando che tutto sia a posto, che nessuno faccia il furbo.
E poi, orrore, vorrebbe tenere aperta la Reggia sette giorni su sette - cancellando il “sacro riposo” del martedì, concesso a tutti i dipendenti da un accordo sindacale di decenni fa - per far entrare la Reggia di Caserta nelle logiche di grandi musei come il Prado di Madrid, che sono sempre aperti e che al massimo, per pulire e sistemare le opere, chiudono alcune sale a turnazione.
Fonti del ministero dicono che i vertici del Mibact, dal ministro al direttore generale, sono rimaste «allibite» di fronte al contenuto della lettera. Anche e soprattutto perché fino a qualche mese fa i dipendenti si erano lamentati dei direttori-pendolari che scappavano da Caserta appena potevano
Abbastanza, insomma, per far imbufalire i sindacati di chi alla Reggia ci lavora. Nemmeno tutti a quanto filtra dal Ministero, ma comunque un bel po’. Che scrivono al ministro, al direttore generale del ministero, al responsabile della direzione generale dei Musei. Il motivo dei loro «rilievi»? Ignoti, almeno finora, visto che di quella lettera filtrano solo le indiscrezioni riprese dal Mattino di Napoli, che ha scoperto questa singolare protesta. Tranne uno: Felicori lavora troppo: «Il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura».
Tradotto dal sindacalese: se vuoi cambiare le cose, devi scendere a patti con noi. O, se preferite, devi passare sul nostro cadavere. Matteo Renzi ha preso le difese di Felicori in un post su Facebook - «la pacchia è finita!», dice tra le altre cose - e fonti del ministero dicono che i vertici del Mibact, dal ministro al direttore generale, sono rimaste «allibite» di fronte al contenuto della lettera. Anche e soprattutto perché fino a qualche mese fa i dipendenti si erano lamentati dei direttori-pendolari che scappavano da Caserta appena potevano, che non mettevano abbastanza energie nel recupero e nel rilancio del sito, che non sceglievano di vivere lì. E oggi, clamorosamente, si schierano contro un direttore che lo sta facendo.
Tuttavia, sarebbe bello che anche i sindacati, nella persona dei loro segretari confederali, scendano in difesa del direttore della Reggia di Caserta. Senza se e senza ma. Che ne lodino l’entusiasmo. Che plaudano ai suoi risultati e al suo impegno per creare nuovo lavoro, dentro e fuori la reggia. Che lo invitino a proseguire a generare ricchezza diffusa da una rendita per pochi, e per giunta mal gestita. In fondo, loro rappresentano i lavoratori. E non è difficile capire chi, dentro quelle meravigliose quattro mura, abbia un’etica del lavoro. Sarebbe bello. E in un Paese normale, quantomeno decente, siamo sicuri accadrebbe.
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