Visti i bilanci, i grillini si sono “romanizzati” in Parlamento. Inchiesta
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Le spese grilline sono aumentate del 25 per cento in due anni. Il taglio degli stipendi è fermo, salgono i rimborsi
di Luciano Capone e di Francesco Del Prato | 18 Febbraio 2016 ore 17:48
Roma. Rispetto all’integralismo e alla naïveté degli esordi, i deputati grillini sono cambiati notevolmente e hanno imparato molte cose, come ad esempio ad andare in televisione, a fare politica e ad avere uno stile di vita parlamentare: più 25 per cento circa di spese in due anni. “Houston, abbiamo un problema. Di cresta. Ebbene, va ammesso. Un piccolo gruppo di parlamentari non vuole restituire la parte rimanente delle spese non sostenute”. Era da poco iniziata la legislatura e Beppe Grillo denunciava sul blog una tendenza al discostamento dalla prescritta frugalità pentastellata: l’occasione fa il cittadino kasta e c’era qualche parlamentare intenzionato a trattenere interamente i rimborsi, senza restituire la differenza con quanto effettivamente speso. Le cronache raccontano di referendum interni in cui la maggioranza dei grillini eletti, dopo aver scoperto i reali costi che comporta l’attività parlamentare, aveva votato per mantenere completamente la diaria fornendo al massimo un rendiconto e lasciando a ognuno la libertà di restituire il surplus secondo coscienza. Il piccolo ammutinamento fu stroncato dall’alto, come poi è accaduto altre volte, da Casaleggio e Grillo: “Chi si tiene la diaria, si mette fuori da solo”.
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L’iniziativa era stata un affronto rispetto al francescanesimo degli esordi: i parlamentari appena sbarcati a Roma dormivano in tre nei bed&breakfast come turisti o “semplici cittadini”, rifiutavano i prezzi di favore della buvette optando per pasti frugali, si spostavano solo con mezzi pubblici. Erano i tempi dell’ossessione degli scontrini, in cui l’allora capogruppo Roberta Lombardi chiedeva addirittura aiuto “alla rete” per aver perso 250 euro di rendiconti: “Mi hanno rubato il portafoglio con gli scontrini, cosa devo fare?”. A distanza di due anni gli onorevoli-cittadini hanno continuato a rendicontare, ma piano piano hanno gonfiato le spese per vivere e fare politica di quasi un quarto, il 24,6 per cento, attestandosi ormai su livelli pari a quelli dei deputati della kasta: dai circa 5.600 euro di spese mensili del 2013 ai circa 7 mila euro del 2015 (ovviamente a queste spese va aggiunto lo stipendio autoridotto a 5 mila euro lordi, circa 3.400 euro netti, che porta il totale oltre i 10 mila euro al mese).
Per fare un confronto sull’evoluzione delle spese a cinque stelle abbiamo selezionato casualmente 30 deputati, un terzo dell’attuale gruppo alla Camera (ma a una prima occhiata i dati al Senato non sembrano essere dissimili), e confrontato le dichiarazioni di spesa sui rimborsi nel trimestre luglio-agosto-settembre 2013 con lo stesso periodo del 2015. Per ogni mese abbiamo preso la spesa totale, composta dalle macrocategorie della diaria e della spesa per mandato, e ne abbiamo calcolato la media, per confrontarla con la stessa a distanza di due anni.
L’aumento medio complessivo è stato del 24,6 per cento (da 5.608,67 euro per il 2013 a 6.989,16 euro per il 2015), un quarto della spesa in più, con una varianza ampia: c’è qualcuno che ha continuato a mantenere il profilo monastico della prima ora, addirittura riducendo di qualche punto percentuale le spese (quelle dell’on. Bonafede sono calate dell’11 per cento), ma la tendenza complessiva vede onorevoli-cittadini non più troppo severi con se stessi. L’on. Brugnerotto ha aumentato la propria media spese sui tre mesi dell’84 per cento, con un incremento del 186 per cento per la voce “collaboratori parlamentari”. Speriamo siano serviti, sia a lui che al mitologico on. Paolo Bernini – quello dei microchip sottopelle – che con un aumento dell’85 per cento sempre in spese per collaboratori sembrerebbe aver reclutato un team di ingegneri elettronici per studiarli. Anche l’on. Parentela, quando non è impegnato a sostenere l’“agricoltura contadina”, si lascia comprensibilmente andare: più 58 per cento di spese equamente ripartite tra tutte le voci.
La variazione percentuale non dice tutto perché in alcuni casi, come quello dell’on. Brugnerotto, si partiva da spese basse, poco superiori ai 3 mila euro, per poi arrivare a un livello normale, circa 6 mila euro. In molti casi è però il valore assoluto a sorprendere, visto che ormai diversi parlamentari spendono tutti i rimborsi: è il caso dell’on. Busto, impegnato nelle battaglie per i diritti degli animali e dei vegani, che nel luglio e agosto 2015 ha speso rispettivamente oltre 11 mila e 10 mila euro. Gli incrementi di spesa più importanti riguardano due voci: le spese per i collaboratori e quelle di alloggio. Dopotutto, a campare spendendo meno di mille euro al mese di casa non si va lontano: non è facile per un parlamentare vivere per 5 anni in tre in un b&b. E’ per questo che l’on. Brescia registra un aumento del 130 per cento per l’alloggio, arrivando a spendere 2.200? nel 2015: niente di strano, ma solo la testimonianza ennesima che certa retorica d’accatto di rinuncia e pauperismo funziona quando ancora si è vergini dalla realtà. Non si tratta di farne una questione di spendere tanto, poco o troppo, anche perché è solo grazie alla trasparenza dei grillini che si possono conoscere i loro dati di spesa. Ciò che è interessante è l’aumento consistente e generalizzato, a riprova del fatto che le dichiarazioni d’intenti sono sempre semplici da annunciare ma più complesse da mantenere (anche se la promessa sulla riduzione dell’indennità continua a essere rispettata). Alla fine, a due anni dal loro ingresso nella scatoletta di tonno, i parlamentari grillini costano comunque oltre 10 mila euro al mese, molto di più rispetto all’inizio e non molto di meno rispetto agli altri parlamentari. L’idea che si possa fare l’onorevole-cittadino con 2.500 euro al mese, insomma, può essere definitivamente accantonata.
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