Ciò che c’è dietro la Legge Cirinnà e non c’entra con le unioni civili
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La battagliera cattodem che non tollera il ministro delle Riforme, Napolitano perplesso per i “gattini e cagnolini”
di Redazione | 18 Febbraio 2016 ore 10:01 Foglio
Di Giorgi contro Boschi. Le unioni civili poco c’entrano con quello che sta accadendo attorno a esse. Si prenda per esempio la battagliera Rosa Maria Di Giorgi, cattodem che ha dato del filo da torcere a Matteo Renzi e che ha aperto il varco all’incursione grillina. Lei è sempre stata una sostenitrice scatenata del presidente del Consiglio. E sul tema della stepchild adoption non ha mai avuto le idee molto chiare. Un giorno di qualche anno fa (la legislatura era cominciata da poco) ha firmato una proposta di legge presentata dal collega di partito e di corrente, Andrea Marcucci, che prevedeva un modello di adozione assai più esteso di quello contenuto nel testo di Monica Cirinnà. Nel giro di qualche mese dopo ha firmato una proposta presentata da Emma Fattorini (veltroniana, cattodem) che diceva esattamente l’opposto. E ora che è passato qualche anno sta conducendo questa battaglia perché è risentita (così, almeno, dicono a Palazzo Madama) con Matteo Renzi che l’ha trascurata (a suo modo di vedere) preferendole di gran lunga un’altra toscana, ossia il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Pare proprio che la Di Giorgi non abbia in simpatia la bella esponente del governo, che, al contrario di lei, ha sempre avuto una linea molto chiara in materia di stepchild adoption: “Sì, per tutelare il bene dei bambini”.
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La posizione Gotor. E con il tema delle unioni civili poco ha a che vedere l’appello che gli avversari interni di Matteo Renzi hanno firmato ieri per chiedere al Partito democratico di non tornare indietro sulla stepchild adoption. Miguel Gotor, che è uno dei promotori di questa iniziativa, il giorno del voltafaccia del Movimento cinque stelle sorrideva tutto contento e non sembrava essere molto preoccupato delle sorti del provvedimento. Anzi, con qualche compagno di partito criticava la gestione della faccenda. In altre parole: criticava Renzi. Ma non appena ha letto sui giornali di ieri mattina che il presidente del Consiglio non escludeva lo stralcio della stepchild adoption, ecco che Gotor è tornato a interessarsi delle sorti della legge sulle unioni civili. E così adesso il premier si trova in una tenaglia: da una parte i cattodem e gli alleati centristi della maggioranza che chiedono lo stralcio delle adozioni per far passare velocemente (almeno a detta loro) la legge, dall’altra la minoranza che li invita ad andare avanti sulla linea originaria. E’ difficile dire che cosa tutto ciò abbia a che vedere con il merito della legge.
Il fattore Cirinnà. Le unioni civili hanno marciato a stento anche perché la firmataria di quella proposta non è molto amata nel gruppo del Pd di Palazzo Madama. Anche questa volta il contenuto della legge nulla ha a che vedere con questa storia. Al Senato, per esempio, raccontano che Giorgio Napolitano abbia nutrito più di una perplessità quando ha saputo che era Monica Cirinnà ad occuparsi di una materia così delicata. L’ex presidente della Repubblica ha fatto notare, non senza una certa ironia, che finora la senatrice in questione si era occupata di “gattini e cagnolini” e non di questioni di altro livello. Si riferiva al fatto che la senatrice, quando faceva parte del consiglio comunale a Roma, era una grande sostenitrice dei provvedimenti a tutela degli animali domestici, e solo di materie come questa si occupava.
Dietro le quinte Boschi e Lotti. Se le unioni civili hanno disvelato le non idilliache relazioni che intercorrono tra gli esponenti del Partito democratico, è anche vero che la legge Cirinnà ha gettato una luce pure sulla solidità di taluni rapporti. Maria Elena Boschi e Luca Lotti, che ogni tanto i giornali si divertono a descrivere come l’un contro l’altro armati, in realtà hanno sempre lavorato in tandem per cercare di sbrogliare l’intricata matassa della legge. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si occupava di tenere la conta dei voti e i rapporti con i senatori che non fanno parte della maggioranza. La ministra delle Riforme seguiva più da vicino la “pratica Pd”. Entrambi sono stati bene attenti a stare il più possibile dietro le quinte, seguendo le indicazioni di Renzi.
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