Terzi su Monti: «Il suo governo fece male i calcoli»

Il ministro Terzi a L43 ammette: «Le capacità di crescita furono sovrastimate». Sulla bad bank: «Non potevamo chiederla, rischiavamo il commissariamento».

di Francesco Pacifico | 26 Gennaio 2016 lettera43

L'Unione europea è pronta a dare il via libera alla bad bank italiana.

Una questione su cui, nei giorni scorsi, il premier Matteo Renzi e il suo ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan hanno accusato il governo Monti, reo a loro dire di non aver spinto a Bruxelles per ottenere quello che fu invece concesso alla Spagna.

E che avrebbe evitato di far salire le sofferenze bancarie dell'Italia sopra i 200 miliardi.

MEA CULPA SULLE STIME DI CRESCITA. Di quel governo Giulio Terzi di Sant’Agata, già ambasciatore all’Onu e in Israele, era ministro degli Esteri.

Con lui Lettera43.it ha provato a fare chiarezza su quello che successe in quei giorni: «Il governo stimò una crescita che non si realizzò», ammette Terzi.

Che però difende le scelte fatte dall'esecutivo Monti: «Non potevamo chiedere la bad bank, eravamo convinti di non poterci accollare ulteriore debito. Ci avremmo rimesso sulla strada della credibilità e non potevamo supportare un commissariamento».

DOMANDA. Ricorda il dibattito sulla bad bank?

RISPOSTA. Onestamente non ricordo un grande dibattito in Consiglio dei ministri. Dovrei ricostruire tutte le riunioni. Ne parlammo, ma sicuramente non fummo coinvolti a un livello decisionale del tipo: la bad bank si fa oppure no.

D. Chi gestì la cosa?

R. Il dossier era in mano al ministro dell'Economia Vittorio Grilli e al premier Mario Monti. E non ci fu sicuramente il dibattito che seguì la ratifica del Fiscal compact, le clausole di salvaguardia sull’Iva o la riforma delle pensioni.

D. Fiscal compact sì, bad bank no?

R. Con il Fiscal compact il governo, nel suo insieme, fu consapevole di sottoscrivere un accordo che portava il Paese in un percorso di contenimento del deficit e, soprattutto per i mercati finanziari, di aggressione al debito. Si ricorda la pressione sulla spending review? Ci credevamo davvero, anche se queste politiche furono rallentate dalla centinaia di atti amministrativi che non avevamo messo in conto.

D. Sceglieste comunque il rigore.

R. Era una strada obbligata in quella fase. Con tutta la tensione sui mercati l’obiettivo primario era ridare credibilità al Paese. Dimostrare - come facemmo con il Fiscal compact – che il Paese aveva le capacità finanziaria per rispondere agli impegni presi a livello internazionale.

D. Altri Paesi salvarono le loro banche.

R. Noi legammo al Fiscal compact il varo di una serie di misure destinate alla crescita, che favorissero il rilancio del Paese e il consolidamento del sistema creditizio. Forse nessuno oggi ricorda che l’Unione bancaria fu una proposta di Monti.

D. Il dossier, però, è ancora aperto.

R. Monti prese in contropiede gli ambienti europei. Il suo era un piano complesso, che seguiva una discussione complicata: comprendeva la mutualizzazione delle responsabilità sulla tenuta bancaria, un controllo sulle banche sistemiche e una rete di sostegno a livello europeo accanto al veicolo d’intervento, l’Esm.

D. Monti aveva avuto garanzie?

R. La cancelliera Merkel accettò di discutere della cosa in questi termini. Poi le trattative presero tempi molto più lunghi del previsto e i tedeschi, in queste circostanze, sono bravissimi a portare il tavolo nella direzione che a loro conviene di più.

D. A noi conveniva la bad bank. Perché il governo non si mosse in questa direzione?

R. Diversamente dalla Spagna e dal Portogallo, che avevano richiesto l’intervento dell’Esfm per la gestione delle sofferenze bancarie, non potevamo chiedere la bad bank: eravamo convinti di non poterci accollare ulteriore debito, ci avremmo rimesso sulla strada della credibilità e non potevamo supportare un trasferimento di decisioni politiche altrove.

D. Non volevate essere commissariati?

R. Certo. La cosa avrebbe avuto un impatto molto forte sull’economia italiana. Dopo la Grecia eravamo, e siamo, il Paese con il maggiore debito. E un intervento sulla bad bank, ripeto, l’avrebbe soltanto aggravato.

D. Ora ci sono 200 miliardi di sofferenze.

R. Molte imprese chiusero per la recessione e la mancanza di credito. Al riguardo io mi ricordo non pochi discorsi sentiti in Bankitalia, dove tutti erano concordi nel dirci che la strada migliore per rientrare dal debito era affidarsi all’andamento dell’economico: bastava con una crescita del 2% e un’inflazione dello stesso tenore. Era più di una speranza.

D. Sta dicendo che sbagliaste i conti?

R. Le capacità di crescita furono sovrastimate da tutti: leggetevi le previsioni fatte allora dalla Commissione europea, dal Fondo monetario o dall’amministrazione americana. Poi, come adesso, videro uno scostamento in negativo trimestre per trimestre.

D. Ci avrebbe salvato la crescita?

R. Noi, proprio in relazione a queste ipotesi, stimammo che le politiche di rigore avrebbero portato a una riduzione della domanda interna soltanto dello 0,5%. Eravamo convinti che saremmo rientrati in una fase di crescita già nel 2013.

D. Le cose, però, non andarono così...

R. È vero, l’effetto recessivo fu sottostimato. Ma c’erano davvero altre strade?.

D. Monti puntava alla Ue, non poteva chiedere la bad bank per l’Italia a Bruxelles…

R. Non so che ambizioni avesse il presidente del Consiglio, ma credo che fosse normale per lui nutrire ulteriori prospettive di crescita istituzionale sul versante interno o quello internazionale. E la bad bank l’avrebbe messo in cattiva luce sulla Germania? Questa domanda incuriosisce anche me….

D. La Ue oggi litiga ancora con l’Italia. Che idea si è fatto?

R. Mi ha sorpreso il tono usato da Juncker. Nel contempo concordo con quel giornale non sospetto di simpatie renziane, che ha detto che la politica italiana in Europa non era mai caduta così in basso.

D. Perché s'è venuto a creare questo scontro?

R. Se guardiamo alle banche, che cosa deve pensare l’Europa leggendo le cronache sul caso Etruria? Prendiamo la gestione del dossier migranti. In un convegno ho sentito un alto dirigente ministeriale dire che abbiamo fatto un grande colpo quando abbiamo deciso di non prendere le impronte ai rifugiati: secondo lui, avevamo costretto i nostri partner a rivedere i trattati. Magari è vero, ma questa è stata un’arma micidiale verso la creazione di un sistema solidaristico e trasparente per la gestione dei flussi migratori.

D. Secondo lei, cos'ha spinto Juncker a dire che a Roma manca un interlocutore?

R. Vuol dire che non ha fiducia nelle cose che gli vengono dette.

D. Come valuta in questo senso la nomina di Carlo Calenda?

R. Stefano Sannino (l’ex ambasciatore a Bruxelles destituito, ndr) è a detta di tutti il più capace negoziatore sulle questioni europee. Che il governo lo cambi con un politico, non rispettando una prassi consolidata in tutti i Paesi europei, è una cosa lunare.

D. Calenda, però, è un viceministro...

R. Allora perché non hanno messo un ministro? Crede davvero che queste cose impressionino la Commissione?

Twitter @FrrrrrPacifico

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