Che succede a Renzi?
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Fronte interno e fronte esterno. Terrorismo e Pd. Cosa funziona e cosa no nella strategia del premier
di Claudio Cerasa | 05 Dicembre 2015 ore 06:18
Fronte esterno e fronte interno: che succede a Matteo Renzi? Sul fronte esterno le notizie di queste ore non sembrano essere sufficientemente robuste per convincere il presidente del Consiglio a cambiare posizione sulle scelte da adottare nella lotta al terrorismo. David Cameron ottiene dal Parlamento, con voto bipartisan, il sì all’estensione delle azioni militari sul territorio siriano. La Germania mette in campo le misure militari più poderose mai prese dal Dopoguerra a oggi. Hollande visita sulla portaerei Charles de Gaulle i soldati francesi impegnati nei bombardamenti e ammette di condurre operazioni speciali sopra le zone controllate dall’Isis in Libia. Lo Stato islamico prosegue il suo travaso di forze dalla Siria alla Libia ma nonostante questo la posizione renziana rimane prudente e l’Italia resta l’unico tra i grandi paesi d’Europa a considerare una misura “spot” l’incremento delle misure militari contro lo Stato islamico in Siria. La strategia di Renzi, pur essendo complicato in questa fase poter delineare una strategia solida del governo nella lotta al terrorismo, è concentrare tutte le proprie forze, di intelligence per ora e militari in un secondo momento, nella vicina Libia. Ma come sanno bene i nostri servizi segreti – e come raccontano quotidianamente le fonti italiane sul campo – ogni giorno che passa senza un intervento è un giorno in più che si offre ai jihadisti per organizzarsi di fronte al nostro bagnasciuga. E se il piano di Renzi è evitare che l’intervento contro il terrorismo avvenga sulla base di una reazione emotiva sarebbe lecito aspettarsi dal governo di non far passare troppo tempo prima di mettere gli scarponi in Libia, anche per evitare che l’azione contro l’Isis avvenga come reazione a un’azione compiuta contro il nostro paese. Tic-tac tic-tac.
ARTICOLI CORRELATI Chi vuole ammazzare il Jobs Act Le mosse sulla procura di Milano svelano il nuovo metodo renziano con i pm Renzi non traccia il solco nel Pd, così nessun candidato difende il suo Pd Sul fronte interno, invece, per il segretario Pd la situazione è complicata ma la si può riassumere mettendo insieme alcuni problemi con cui si ritrova a fare i conti oggi il presidente del Consiglio. Oggi e domani il Pd ha convocato, una settimana prima della Leopolda, un weekend di mobilitazione con mille banchetti in giro per l’Italia – “vogliamo ritrovare il contatto con la nostra base” – ma a cinque mesi dalle elezioni Renzi deve riconoscere che il suo partito ha due questioni aperte che non possono essere rinviate: forza del partito, forza della classe dirigente. In un paese normale, ovvero non l’Italia, la campagna per le comunali dovrebbe riguardare solo le dinamiche locali e non il partito nazionale. Renzi è però convinto che un risultato negativo possa avere un impatto negativo sul governo e per questo pensa che sia necessario che il premier torni a fare anche il segretario del Pd (la segreteria dem non si riunisce da giugno). Prima ancora di Bologna e Torino, le città che preoccupano Renzi sono Roma e Napoli, dove il Pd è spappolato, incapace di esprimere una nuova classe dirigente e dove Renzi è convinto che sia complicato non solo vincere le elezioni ma persino arrivare al ballottaggio. A Napoli un qualche spiraglio di battaglia esiste, nonostante l’appoggio che De Luca darà a De Magistris in chiave anti Bassolino. Mentre a Roma il segretario, dopo aver provato a convincere Gentiloni a candidarsi, non ha ancora le idee chiare e la candidatura di Giachetti (che da due settimane ha cominciato a mettere insieme con i suoi amici alcune “idee su Roma”) è l’unica carta presente sul campo (anche se i sondaggi sul vicepresidente della Camera non sono buoni). Roma e Napoli, ma anche Milano, portano alla luce l’altro problema del Pd. Secondo Renzi all’interno del partito non esistono risorse sufficientemente solide per permettere al Pd di essere competitivo alle comunali ed è per questo che il segretario è disposto a contraddire la sua teoria del “primato della politica” sondando continuamente civil servant (Linus!) per le città che andranno al voto.
I nomi spendibili ci sarebbero, anche a Roma, ma c’è un problema: fare il sindaco oggi è un mestiere complicato, impopolare e a basso reddito e le ragioni anche economiche che hanno portato Pisapia a fare un passo indietro sono le stesse che stanno disincentivando molti candidati a scendere in campo. Due fronti difficili per il capo del governo. E mai come in queste settimane Renzi dovrà fare gli straordinari per dimostrare che in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, soprattutto a causa del fronte esterno, sia possibile essere contemporaneamente il presidente del Consiglio che si occupa di terrorismo e il segretario del Pd che si occupa della sezione della Bufalotta. Tic-tac tic-tac.
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