Nelle primarie, Pd ostaggio delle élite culturali metropolitane
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Tanto per cambiare, il Partito democratico si lacera sulle regole da adottare nelle consultazioni primarie, questa volta per indicare i candidati alle amministrative di primavera
di Sergio Soave Italia Oggi, 25.9.2015
Tanto per cambiare, il Partito democratico si lacera sulle regole da adottare nelle consultazioni primarie, questa volta per indicare i candidati alle amministrative di primavera. La pietra dello scandalo, in quest'ultima puntata della telenovela, sarebbe l'intenzione dei seguaci di Matteo Renzi di vietare la ricandidatura di chi ha già ricoperto l'incarico di sindaco, esclusi quelli in carica che concorrono per un secondo mandato. La norma è evidentemente studiata per impedire all'ex sindaco di Napoli ed ex presidente della Campania, Antonio Bassolino, di partecipare alle primarie democratiche.
Ci sono mille ragioni a favore di questa norma, ma diecimila che sconsigliano di adottarla proprio ora, quando assume un evidente carattere «contra personam». Però la questione primarie, se si può dire con un gioco di parole un po' scontato, è secondaria. Il fatto è che il Pd ha perso quasi tutte le primarie di coalizione, a Genova come a Milano, o ha perso le elezioni contro candidati populisti della sinistra giustizialista, a Napoli come a Palermo ed è riuscito persino a farsi sconfiggere da una centrodestra in condizioni comatose a Venezia (oltre che in Liguria). Ha vinto a Roma e le conseguenze sono peggiori di quelle che avrebbe determinato una sconfitta.
Nel passaggio dalla gestione «ulivista» di Bersani a quella rottamatrice di Renzi, da questo punto di vista è cambiato poco. Soprattutto nelle grandi città, il Pd renziano non riesce a superare l'ostilità di élite culturali metropolitane impregnate di scetticismo snobistico e di atavica diffidenza verso le riforme (osteggiate magari con richiami a un rivoluzionarismo cosmopolita puramente immaginario) e non riesce neppure a collegarsi stabilmente alle élite economiche più pragmatiche che tendono a preferire soluzioni presentate come «neutrali» o tecnocratiche.
Il meccanismo delle primarie, che dovrebbe consentire di scavalcare le élite rivolgendosi direttamente alla base elettorale popolare, ha funzionato a livello nazionale, ma a quelli locali risente inevitabilmente delle influenze legate ai vari centri di potere e di opinione, com'è d'altra parte ovvio che sia. Come non si combatte la febbre cambiando termometro, così non si risolve questo problema politico di fondo, cioè la debolezza del rapporto del Pd con la sua base elettorale che non diventa una base sociale permanente, con marchingegni tecnici. La «feudalizzazione» del partito a livello locale in concomitanza con una personalizzazione del ruolo di vertice è un fenomeno che non riguarda solo la sinistra in Italia e non è un fenomeno solo italiano. Al contrario in Italia si presenta con un certo ritardo rispetto a situazioni come quelle che si vivono in tutte le grandi democrazie europee, solo che lì questi fenomeni sono regolamentati da tempo.
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