“Vi spiego come e perché l’Italia ha reso impossibile la vita dei servizi segreti”
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Il generale Mori: “Intelligence e procure si azzuffano da anni, il principio stesso di segreto è incompatibile con l’Italia”
di Salvatore Merlo | 18 Novembre 2015 ore 06:27 Foglio
Roma. “Guardi che i servizi segreti in Italia sono stati smantellati”. E un’affermazione del genere, detta da un ex capo dei servizi segreti, e in questo particolare momento, poi, non può che suonare inquietante. “In Italia la parola ‘servizi’ viene sempre affiancata a quella ‘deviati’. Descritti da un pregiudizio non sempre ingiustificato, ma largamente abusato, come qualcosa di tetro, opaco, poco lineare, e trattati come materia di contesa politica, faziosa e irresponsabile, da una legislazione contraddittoria e continuamente sottoposta agli spasmi dell’opinione pubblica, i servizi nel nostro paese sono stati devastati”, dice il generale Mario Mori, direttore Sisde dal 2001 al 2006.
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“Però poi si pretende che siano pronti, efficienti, capaci di prevenire – dio non voglia – anche atti di terrorismo”. E quella di Mori è una voce nella quale l’ironia, il dispetto, la dignità si fondono in uno stupore che certo deriva da dolori personali e giudiziari, dalla storia del covo di Riina perquisito in ritardo (processo per il quale il generale è stato assolto “perché il fatto non sussiste”) e dalla vicenda contorta della cosiddetta trattativa, succo di vita vera, sofferta. “Il servizio si chiama ‘segreto’ perché dovrebbe operare quanto meno con riservatezza. E invece in Italia l’agente del servizio si muove sempre con il timore di incorrere in qualche censura, di tipo politico o giudiziario”. Ed ecco allora le confuse immagini dei servizi e della polizia, dell’intelligence e della magistratura che in Italia si azzuffano tra di loro, si avviluppano, si rotolano sul pavimento, tentando di mettersi l’un l’altro le manette, come giocolieri quando fanno le capriole sul tappeto. “A richiesta della magistratura in questo paese sono stati diffusi dati personali e fotografie degli agenti del servizio. Se lo immagina quanto i russi o gli americani possano fidarsi di questo colabrodo, di questo pasticcio istituzionale?”.
E insomma, dice Mori, “l’andatura dei servizi segreti in Italia e tutt’altro che sciolta”, e non solo per l’impaccio di dover vestire secondo regole contorte, ma per quel disagio di natura culturale, storica, giuridica, forse persino morale che nel nostro paese fa ritenere ambiguo – dunque pericoloso – anche ciò che è segreto per ragioni che riguardano l’interesse e la sicurezza nazionale, la ragione di stato. “I servizi non sono polizia giudiziaria”, dice il generale, non seguono le stesse regole, hanno un altro compito: “Per questo dipendono direttamente dal governo e non dalla magistratura. Per questo sono segreti”, fanno cioè un lavoro che per sua natura contrasta con il candore. “Se io sono un ufficiale dei carabinieri e mi avvicino, per esempio, a un fiancheggiatore dei terroristi, ho degli strumenti molto limitati. E quello, la persona informata, sa bene che qualsiasi cosa mi dirà io sarò obbligato a riferirla ai magistrati. Quella persona potrà sempre pensare: ‘ma se parlo, poi mi metto nei guai, finisco in tribunale’. Mi conviene parlare? Il servizio segreto invece tutela la fonte, e può esercitare ‘pressioni’ che per la polizia giudiziaria sono vietate. Può anche corrompere, se necessario”.
Questo è il suo ruolo istituzionale, interpretato con quella cert’aria equivoca che appartiene ai servizi segreti di tutto il mondo, negli atteggiamenti, nel necessario silenzio, nel mistero, nella promiscuità con quella criminalità nella quale ci si infiltra: perché tutto va messo in opera ai fini della vittoria, nelle guerre terribili, come contro la mafia così contro il terrore islamista. La libertà costa cara. Molto più cara della schiavitù. “Ma solo in Italia il servizio è stato tempestato d’inchieste, con effetti paradossali nei confronti delle intelligence dei paesi alleati”, dice Mori. E il generale racconta che “se il servizio segreto italiano vuole intercettare dei terroristi deve chiedere il permesso al procuratore generale. E già, nel momento in cui ha chiesto il permesso, la sua operazione non è più segreta: ne sono a conoscenza almeno altre tre o quattro persone esterne”. E dunque Mori descrive una condizione morale, intellettuale, sociale e giuridica forse inestirpabile: il principio stesso di ‘segreto’ sembra incompatibile con l’Italia. Tuttavia qualche motivo storico c’è: nel nostro paese i servizi sono stati accusati di spadroneggiare, e di abusare, in nome della libertà, come negli anni Settanta. “Ma una riforma razionale non significa cancellarli”, risponde il generale. “Guardi che non c’è nemmeno una vera carriera nei nostri servizi. I vertici cambiano con la stessa frequenza con la quale si alternano i rissosi governi. Adesso ho letto che forse sarà aumentata la dotazione di bilancio. Ma i buoi sono scappati da un pezzo. Per avere dei servizi efficienti ci vuole cura, e tempo”.
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