Come si spiega la tentazione di Renzi di favorire una scissione del Pd
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Oltre la legge elettorale. Nasce il sospetto che il premier voglia favorire il distaccamento dal partito dell’internazionale dei Mineo
di Claudio Cerasa | 06 Novembre 2015 ore 06:18
Il problema è tutto lì: con il trattino o senza il trattino? Dimentichiamoci per un attimo dei temi economici, della legge di Stabilità, delle polemiche sulla spending review, della battaglia sulle regioni. Dimentichiamoci di tutto questo e proviamo a capire qual è una grande partita politica che nei prossimi mesi si giocherà all’interno del mondo renziano. Il presidente del Consiglio potrà far finta che la microscissione dell’internazionale dei Mineo valga come l’aria fritta e probabilmente ha ragione. L’inerzia della politica ci dice infatti che, oggi, uscire dal Pd per finire tra le calde braccia di Stefano Fassina o di Pippo Civati sia una prospettiva senza grandi orizzonti, in un paese in cui, oggi, vi è una legge elettorale con un premio alla lista che porta le forze appartenenti a una stessa area politica ad aggregarsi tra loro e a trovare punti di mediazione diversi dall’essere dei semplici alleati di una coalizione (ragione per cui Berlusconi, tra l’altro, avrebbe scelto di partecipare domenica a Bologna alla manifestazione “blocca Italia” organizzata da Salvini).
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Il premio alla lista previsto dall’Italicum è dunque un disincentivo naturale alla nascita di un soggetto a sinistra del Pd per il semplice fatto che questo sistema non incentiva la formazione di coalizioni e spinge alla composizione di soggetti più grandi. Il fatto che Renzi si sia detto disposto a non considerare “un totem” il premio alla lista apre però un nuovo capitolo e costringe a porci un quesito che ci sembra centrale all’interno del dibattito politico. Il ragionamento è semplice. Senza volersi perdere nei tecnicismi potremmo metterla così: se è vero che il premio alla coalizione offrirebbe maggiore spazio a un soggetto alla sinistra del Pd, è altrettanto vero che un Renzi disposto a modificare con questa chiave la legge elettorale è un Renzi che potrebbe essere sospettato di una scelta deliberata: incentivare la scomposizione del Pd, promuovendo una scissione che permetterebbe al segretario del partito di sbarazzarsi di quei corpi estranei che non si riconoscono nel progetto renziano. Facile immaginare che la tentazione ci possa essere – e magari è questo il partito della nazione a cui pensa qualcuno nel Pd. Facile immaginare che Renzi possa persino credere che un partito capace di conquistare voti non di sinistra lo si costruisce sbarazzandosi dei nemici interni della sinistra più radicale. Sul breve periodo, poi, il ragionamento potrebbe funzionare e potrebbe permettere all’ex sindaco di Firenze di avere più carte per conquistare elettori che non si riconoscono direttamente nel Pd.
Sul lungo periodo però la partita appare più complessa e sotto molti punti di vista aprire le porte della coalizione per Renzi potrebbe essere un errore mortale. Diceva Tony Blair che non si cambia un paese senza cambiare il proprio partito e senza educare i propri elettori e i propri sindacati – change Labour to change Britain. Renzi finora ha sfidato i propri elettori, il proprio partito e i propri sindacati. Ma accettare il ritorno a un centro trattino sinistra significherebbe aver rinunciato a trovare un modo per rappresentare tutti coloro che si identificano nella vecchia famiglia del partito e significherebbe ammettere di aver perso quella sfida. Non solo perché con la coalizione non ci sarebbe più il Pd a vocazione maggioritaria. Ma anche perché senza sinistra ci sarà pure Renzi ma non è detto che un domani ci sia ancora un vero Pd.
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