Art. 18 e regioni. Quel terribile duo
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“Era naturale che Renzi arrivasse allo scontro con i due principali relitti del consociativismo all’italiana”, dice al Foglio lo storico Craveri. Lavoro e spesa pubblica improduttivi vs. rivoluzione di partiti e mercati
di Marco Valerio Lo Prete | 05 Novembre 2015 ore 06:18
Roma. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’attuale assetto disfunzionale delle regioni: simul stabunt, simul cadent. “Era naturale che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, arrivasse allo scontro con quelli che sono i due principali relitti del consociativismo all’italiana”, dice lo storico Piero Craveri, commentando l’editoriale del Foglio di ieri, in cui si sosteneva che “la verità” dietro le attuali schermaglie tra Palazzo Chigi e presidenti delle regioni sulla legge di Stabilità “riguarda un tema politico e culturale con il quale il presidente del Consiglio dovrà fare i conti: l’esistenza stessa delle regioni”.
ARTICOLI CORRELATI Addio federalismo, anche se non ti abbiamo mai conosciuto Dietro l’ammuina regionale sulla Sanità Meno Sanità, non fa male Quanto vale per Renzi annientare il sistema delle regioni “Ora ci divertiamo”, aveva detto Renzi prima di convocare per ieri sera i presidenti delle regioni che in tempo di legge di Stabilità, quasi per definizione, sono “sul piede di guerra”. Ieri mattina, a fronte di una batteria di interviste e dichiarazioni bellicose dei governatori, una replica del presidente del Consiglio: “Quando si dice che ci sono dei tagli alla Sanità mi sembra ingiusto e mi arrabbio. Non ci sono tagli, non diciamo bugie”. Messaggio appena temperato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha fatto qualche apertura alle regioni “virtuose” ma ha tenuto il punto sull’“esigenza generale di migliorare il Sistema sanitario nazionale”. Ieri sera Sergio Chiamparino, uscendo da Palazzo Chigi dove era a capo della delegazione dei governatori, ha parlato di “incontro positivo”. Di avviso opposto i colleghi Maroni, Toti e Zaia.
Secondo Craveri, il lungo terremoto del sistema politico iniziato nel 1994 e i sempre più pressanti vincoli esterni (di mercato o europei che siano), non potevano che porre in rotta di collisione l’attuale governo con lo Statuto dei lavoratori e con le regioni. Due riferimenti non casuali, visto che il professore emerito di Storia contemporanea all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa a Napoli, già nei suoi lavori sulla Prima Repubblica sottolineava come la legge che ha costituito le regioni a statuto ordinario sia stata firmata appena due giorni dopo la legge che ha istituito lo Statuto dei lavoratori; entrambe nel maggio 1970. “Quello Statuto, insieme alle regioni e alla modifica dei regolamenti parlamentari furono le basi del consociativismo nel nostro paese”, dice Craveri.
Partiamo dallo Statuto: “L’idea era quella di fare entrare il sindacato, che già era influente, direttamente nelle fabbriche, con poteri istituzionali maggiori – dice lo storico – L’impianto originario dello Statuto si ispirava alle leggi americane degli anni Trenta, al rafforzamento del sindacato nelle imprese, con i vincoli di mercato che ne derivavano. Poi però, anche con emendamenti ad hoc che estesero per esempio il diritto di reintegro per tutti i lavoratori licenziati e non solo per i rappresentanti sindacali, siamo arrivati alla situazione italiana che conosciamo. Fatta di salario come variabile indipendente, di sindacato classista e imprese sostenute dallo stato”. Il filo rosso porta alle regioni, che per Craveri nascevano già “antiquate” nella concezione dei Costituenti, tese a limitare i poteri del governo centrale: “Poi nel 1970, con la legge d’attuazione, si trasformano in un altro caposaldo consociativo. Stante la conventio ad excludendum verso il Pci, le regioni dovevano garantire anche dei margini per ampliare la presenza comunista al potere. Con la riforma Bassanini, infine, si capovolge pure il principio per cui le autonomie erano conferite dallo stato”. Debolezza cronica dell’esecutivo centrale e meccanismi di spesa senza controllo a livello regionale, secondo Craveri, costituiscono “problemi che sono stati lasciati marcire per almeno trent’anni”. Il tutto mentre l’articolo 18 vecchia maniera, con i suoi corollari, “impediva un approccio allo sviluppo fondato sulla produttività”. Per un attimo Craveri smette i panni dello storico: “Sono sempre stato dell’idea che le regioni, prim’ancora che le province, fossero da abolire. Ma proprio il meccanismo consociativo le ha rese quasi inscalfibili. Capisco le difficoltà”. Tuttavia lo scontro istituzionale di queste settimane segnala un cambiamento di equilibri, almeno in potenza: “Dopo il cambiamento politico-istituzionale avviato nel 1994, è saltato il sistema – per carità pessimo – che almeno gestiva quelle regioni. Mentre i vincoli esterni, europei e di mercato, sono potentissimi. Solo un governo centrale riformatore li può affrontare. Il consociativismo ha fatto il suo tempo”.
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