Mafia Capitale e il rischio che Roma diventi la nuova capitale del circo mediatico giudiziario
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Quando il prossimo cinque novembre nell’aula Occorsio di Roma si aprirà il processo “Mafia Capitale” i procuratori della Repubblica e forse anche alcuni amici giornalisti faranno bene a osservare con attenzione il succo di una polemica gustosa
di Claudio Cerasa | 01 Novembre 2015 ore 10:00
che si sta sviluppando da alcuni giorni tra i campioni della magistratura chiodata, l’Anm, e un magistrato improvvisamente ribelle di nome Raffaele Cantone
Quando il prossimo cinque novembre nell’aula Occorsio di Roma si aprirà il processo “Mafia Capitale” i procuratori della Repubblica e forse anche alcuni amici giornalisti faranno bene a osservare con attenzione il succo di una polemica gustosa che si sta sviluppando da alcuni giorni tra i campioni della magistratura chiodata, l’Anm, e un magistrato improvvisamente ribelle di nome Raffaele Cantone.
La polemica, apparentemente, riguarda solo il ruolo dell’Associazione italiana magistrati, il suo posizionamento, la sua continua tendenza a battagliare con la politica e la tentazione costante da parte della Sabelli Band a rapportarsi con i governi non da una posizione paritetica ma culturalmente e antropologicamente persino da una vetta superiore. Alla Marchese del Grillo – “Perché io so’ io e voi non siete un cazzo”. Cantone, parlando qualche mese fa con il nostro giornale, ha detto di non sentirsi più rappresentato dall’Anm, da questo gruppo di magistrati che si preoccupa troppo di ferie e che ormai non rappresenta più nessuno, e ha formulato la sua critica all’attuale mondo della magistratura – del quale evidentemente il capo dell’anticorruzione si sente complice solo fino a un certo punto – mettendo agli atti una serie di accuse clamorose che vale la pena sintetizzare. Le correnti della magistratura, ha detto Cantone, sono un male assoluto, “un cancro”. L’obbligatorietà dell’azione penale è diventata una grande farsa, è sostanzialmente “discrezionale”. Il ruolo del Csm non esiste più, ormai è un “centro di potere vuoto”. I magistrati appartengono a una casta e “sono l’ultima categoria che fa carriera in modo automatico senza che vi siano demeriti”. E anche il ruolo di Magistratura Democratica bisogna ammettere che è diventato ambiguo, così come il suo “settarismo” e l’insostenibile “utilizzo della giustizia come lotta di classe”.
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C’è tutto questo all’interno della dialettica tra Cantone e l’Anm ma al centro c’è un tema più forte che non potrà che essere cruciale anche nell’ambito di quel grande show che promette di essere il processo su “Mafia Capitale”. L’accusa di Cantone è importante e colpisce dritto al cuore perché arriva proprio da quello che da molti punti di vista è diventato l’eroe del moralismo dell’èra renziana. E anche se il capo dell’Anac rivendica il ruolo pedagogico del magistrato non rinuncia però a dire che il nostro paese vive un grande dramma che si chiama gogna giudiziaria. Il ragionamento di Cantone parte da una riflessione legata alle conseguenze nefaste del processo sulla trattativa stato-mafia – “un pentolone all’interno del quale ho visto confluire molti degli ingredienti del processo mediatico, o meglio della gogna mediatica, dove tutto è contorto, metagiudiziario quanto ad analisi socioeconomiche e storico-politiche, e silente quanto al movente delle persone di stato” – ha scritto Piero Tony nel suo libro “Io non posso tacere”, con una tesi condivisa pubblicamente dallo stesso Cantone. E proprio le scelleratezze di quel processo, con i suoi cortocircuiti, dovranno in qualche modo essere una lezione da cui prendere le distanze per i giudici romani.
Finora, come ha ricordato su queste pagine il presidente delle Camere Penali, Mafia-Capitale non è stato solo un evento di cronaca giudiziaria, ma ha segnato una svolta qualitativa nei rapporti fra politica e magistratura, fra media e procure e fra procure e magistratura nel suo complesso, “mostrando improvvisamente nuovi modi di organizzare l’impatto mediatico delle indagini e un nuovo rapporto, inedito in parte, fra politica e magistratura; con la procura antimafiosa che diventa l’immagine del bene assoluto, che ridisegna la storia, che vuole riscrivere i codici e che, attraverso la sua azione giudiziaria, modella la Verità, mutata nella sua stessa Rappresentazione”.
Da molti punti di vista, il nuovo contesto politico romano, con tutti i vuoti legati al dopo Marino e alla imminente campagna elettorale, trasformerà la capitale in un teatro di campagna politico-morale-giudiziaria in cui le procure potranno rafforzare il proprio ruolo di supplenza e indebolire la formazione di una classe dirigente. Le tentazioni sono note. E non fatichiamo a pensare che ci saranno magistrati che si occuperanno anche di morale, e non solo di penale; che ci saranno pm che sfrutteranno il periodo delicato della città anche per occuparsi di peccati, e non solo di reati; e che ci saranno improvvisamente intercettazioni bignè che verranno gentilmente offerte ai giornalisti; e che ci sarà un interesse collettivo a portare avanti non solo il processo in aula ma anche il processo mediatico.
Gli ingredienti per far sì che qualcuno sfrutti mafia capitale per fare campagna elettorale ci sono tutti. E ci piacerebbe dire che la denuncia di Cantone sarà un monito sufficiente per disincentivare i colleghi di Pignatone a fare l’occhiolino a Grillo e a trasformare Roma nella capitale del circo mediatico giudiziario. Ci piacerebbe, appunto. Perché sappiamo bene, purtroppo, che molti pm di Roma non appena vedranno la spia rossa accesa sopra le telecamere ci metteranno un attimo a trasformare il processo penale in un processo mediatico. Specie poi se la mafia annunciata e declamata e raccontata a mezzo mondo dovesse risultare una mezza farsa buona al massimo per un sequel cinematografico dei compagni di Suburra.