Sindaco Venezia:ve la do io la Leopolda
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“Dobbiamo rifare un patto con Renzi, o lo faccio io. Il centrodestra? So come si tiene insieme”. Governo, Cav., gender e una pazza idea per Venezia.
di Claudio Cerasa | 24 Settembre 2015 ore 06:27
Chiacchierata a colpi di Sauvignon con il sindaco Brugnaro
Luigi Brugnaro è nato a Mirano il 13 settembre 1961. E’ un imprenditore, dirigente d'azienda, dirigente sportivo e politico. Dal 15 giugno 2015, dopo aver battutto al ballottaggio Felice Casson (Pd) con il 53 per cento dei voti, è sindaco di Venezia
"Ah, dici?”. Luigi Brugnaro è lì che ci pensa e che ci ragiona, e anche se fa finta di non rendersene ancora conto sa perfettamente che quelle piccole coincidenze sono più di un semplice e innocente segnale rispetto a un futuro che oggi sembra lontano ma domani chi lo sa. E’ sindaco, come lo era lui. Guida una grande città d’arte, come faceva lui. Ha tolto dopo decenni il comune dalle mani dei comunisti, proprio come fece lui. Sogna di trasformare il suo comune nel simbolo di una nuova riscossa italiana, esattamente come lui. E sostiene – già sentito? – che il paese abbia bisogno in modo sempre più urgente di una politica che sappia declinare un verbo molto utilizzato da un ex sindaco che guidava una grande città d’arte e che sognava di trasformare il suo comune nel simbolo di una nuova riscossa italiana: rottamare. Sono le dodici e trenta di sabato dodici settembre. Siamo a Mestre, ristorante al Cason, Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia da cento giorni, è lì che ci pensa e che ci ragiona – e anche se fa finta di non rendersene conto, gioca e si diverte pensando di essere lui, oggi e forse anche domani, il vero Matteo Renzi del centrodestra. “A me non interessa la camicia e non interessa se sei di destra o di sinistra, sei del Pd o di Forza Italia. A me interessa valutare le cose per quello che sono. E oggi – dice Brugnaro mentre versa nei bicchieri un secondo giro di Sauvignon – bisogna dire che se l’Italia è un’azienda, chi la sta guidando è senz’altro un buon manager, e sta facendo una serie di cose che non capisco come sia possibile non sostenere. La riforma costituzionale non è perfetta, ci mancherebbe, ma è una buona riforma e faccio fatica a capire come si possa spiegare alla propria gente che non si vota la fine del bicameralismo perfetto perché c’è un emendamento x comma y della legge z che non funziona come dovrebbe. Semplicità, ragazzi, semplicità e linearità: se quello che si chiama centrodestra vuole tornare a parlare a una parte maggioritaria del paese deve capire che ci sono delle cose di buon senso che non si possono non sostenere. Lo stesso vale per la riforma del lavoro, il jobs act. E’ stata una buona riforma. Punto. Ha migliorato il mercato del lavoro. Punto. Ha messo in discussione un totem del nostro paese come l’articolo 18. Punto. Ha messo le mani all’interno di un terreno che per anni è stato non solo proibito ma anche pericoloso, mortale. Ricordate Biagi? Ecco. Ricordato D’Antona? Ecco. E se a farla fosse stato un leader non di sinistra, quella norma l’avremo sostenuta e votata. Mi dicono: oh, ma che vuoi, tu, vuoi rifare il Nazareno? E io rispondo: sì, certo. Quella è stata un’intuizione politica pazzesca, geniale, risolutiva, e sono convinto che se il perno del centrodestra, Forza Italia, avesse continuato a dialogare con il Pd, sarebbe stato più semplice evitare il travaso da Forza Italia alla Lega Nord”.
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Brugnaro si ferma un istante, ordina da mangiare, sgranocchia qualche grissino, si asciuga il sudore, si accerta con un movimento a scavare con le braccia in mezzo alle gambe che la camicia blu a righe bianche sia infilata con cura dentro i pantaloni, e poi continua a ragionare. Renzi, Berlusconi, Salvini, e poi, ovviamente, la sua Venessia. “La rottamazione che cos’è, scusi? Non è altro che una declinazione moderna della ventata di novità portata da Berlusconi nel 1994. Vent’anni dopo, come ogni ciclo, quella ventata di novità doveva essere intercettata da qualcuno, e oggi i due rottamatori sono da una parte Renzi e dall’altra Grillo. Facile, no? Si dirà: e se Grillo e Renzi oggi hanno la golden share su tutto ciò che riguarda il nuovo, che alternative ci possono essere, che futuro e che spazio può avere un polo conservatore, chiamiamolo così, in questo scenario politico? Caspita se ce l’ha. Renzi è un bravo leader politico ma la mia impressione, lo dico in modo spassionato, è che, a meno di miracoli, il fatto che abbia dietro di se un partito che assomiglia più agli avversari di Renzi che allo stesso Renzi è un elemento di debolezza che avrà un peso nel futuro. I Casson, per capirci, sono presenti nel Pd in misura maggiore rispetto a quanto si vede in altri partiti. E se Renzi volesse avere nel futuro la certezza di diventare il leader di un polo maggioritario del paese non avrebbe altra scelta che sbarazzarsi di tutti i rumori sinistri del suo partito. Non potrà, non gli sarà possibile, e così, nel futuro, esiste un’autostrada, e noi la dovremo percorrere”.
Quando dice “noi”, Brugnaro, non parla di un partito, non parla di Forza Italia, della Lega, di Fratelli d’Italia, di Ncd, ma parla di un polo, così lo chiama, che oggi è diviso, per questioni quasi naturali, e che secondo il sindaco di Venezia con il tempo si andrà però a ricomporre e ritroverà una sua omogeneità. Con un però, appunto.
“Sbaglia chi oggi pensa che le elezioni, nazionali, comunali e regionali, si vincano in base a un’alleanza o in base a un accordo di palazzo. Oggi contano come non mai le individualità, e le elezioni si vincono nel momento in cui l’elettorato si accorge di avere di fronte a sé un capo azienda che sa valorizzare bene ogni singola individualità, e che dimostra di avere le giuste competenze per dare un futuro non tanto a noi che oggi votiamo quanto ai nostri figli che un domani voteranno”.
Brugnaro, come detto, crede che una vera alternativa al renzismo non possa essere costruita offrendo a Salvini la guida di una possibile coalizione del futuro, ma riconosce al leader leghista un ruolo importante per aver messo al centro del dibattito pubblico il tema dei necessari confini che il nostro paese deve considerare quando si parla di accoglienza. “Anche qui, sbaglia chi osserva l’esodo biblico che arriva dal medio oriente pensando che sia necessario, e doveroso, abbattere i nostri confini e accogliere chiunque, quasi senza fare distinzione tra profughi e migranti economici. Un paese serio deve ricordarsi che i confini esistono e che vanno governati e non si può pensare che l’accoglienza debba significare apertura indiscriminata a chiunque arrivi sui nostri confini. Io sono pronto ad accogliere tutti coloro che mi verrà chiesto di accogliere nella mia città, ma vorrei ricordare quella che è una grande lezione che arriva dalla Germania: la xenofobia, la paura dello straniero, spesso nasce più per ragioni legate alla disorganizzazione di un paese di fronte a un fenomeno migratorio che ai numeri stesso del fenomeno in questione. Salvini, pur utilizzando argomentazioni che spesso non condivido del tutto, ha posto una questione centrale. Sicurezza. Organizzazione. E senza dimenticare poi che non sarà mai possibile governare un fenomeno come questo se non si deciderà di intervenire in modo più forte e diretto, non solo con le bombe dall’altro, in quei paesi dove i fondamentalismi islamici costringono milioni di persone a scappare fuori da interi paesi sotto assedio, come per esempio la Siria”.
Brugnaro, tra un crudo di pesce e una pasta con le vongole, continua a parlare a ruota libera di destra, di sinistra, di immigrazione, di governo, di opposizione, di leadership, e soprattutto di Venezia. I 62 milioni di euro di buco lasciati in eredità dalle amministrazioni precedenti. Il miliardo e mezzo che il comune aspetta dal governo ormai da dieci anni in virtù della legge speciale del 1984. E poi, oltre all’idea di provare a organizzare proprio in Laguna nei prossimi mesi una sorta di Leopolda del centrodestra, una battaglia attraverso la quale il sindaco di Venezia tenterà di costruire un luogo simbolo per tutta l’Italia delle libertà economiche e individuali. “Il comune ha scelto di prendere in gestione una vecchia piattaforma dell’Eni che si trova di fronte a Venezia, nelle aree Syndial, e la trasformerà in un porto franco, free tax, in una zona extra territoriale, che vogliamo trasformare in una sorta di piccola Dublino italiana per permettere alle grandi multinazionali di avere un modo concreto per avvicinarsi all’Italia e creare allo stesso tempo un numero di posti di lavoro che neanche potete immaginare. E’ un eccesso, ovviamente, ma di fronte agli eccessi della tassazione italiana a volte è necessario rispondere con un contro eccesso uguale e contrario”.
Brugnaro riaccende il sigaro, risponde a un paio di domande del Foglio sulle polemiche note, sulla scelta fatta dal sindaco di ritirare dagli asili nido e dalle scuole dell'infanzia comunali i 49 libri contenenti fiabe contro la discriminazione e l’affermazione della teoria gender per sottoporli al vaglio di una apposita commissione e rivendica il diritto di promuovere una cultura che difenda non tanto i valori tradizionali della famiglia quanto la necessità di non dire che “genitore a e genitore b sono uguali a mamma e papà, questo non è accettabile, punto”. E mentre parla e sorride – e racconta dettagli della sua città, della sua storia, della sua scelta improvvisa di buttarsi in politica, dopo essersi laureato in architettura, dopo aver fondato nel 1986 una società che si occupa di reti commerciali, dopo aver fondato una società che si occupa di lavoro interinale (600 dipendenti, 300 milioni di entrate annuali), dopo essere stato presidente di Confindustria Veneto e dopo essere diventato presidente di una storica squadra di basket fondata nel 1925, la Reyer Venezia. Racconta tutto, Brugnaro: i dettagli, la decisione, la felicità e la soddisfazione di guidare una città che era dal 1993 in mano alla sinistra; e la sua scelta di lavorare gratis e di mettere in un fondo per la città i soldi che spetterebbero al sindaco (“Quanti sono, quanti ne guadagnerei? Seimila, settemila?”, dice guardando il suo amico e collaboratore Fabio C. Fioravanzi). Le parole di Brugnaro – veloci, improvvise, empatiche e spesso incomprensibili – hanno lo stesso effetto di un orecchio infilato nel bicchiere di un frullatore; e il sindaco di Venezia, tra una cosa e l’altra, si diverte a chiacchierare di politica e a descrivere Venezia come il vero simbolo dell’Italia: ricchezza, bellezza, turismo, industria e potenzialità ancora da liberare. Dice che, da sindaco, per il bene della sua città, “sarebbe pronto anche domattina a mettere insieme un po’ di sindaci di centrodestra e farlo lui un Nazareno con Renzi”. Parla, chiacchiera, saluta i vicini di tavolo, si intrattiene con i camerieri, firma autografi, si diverte e poi ci pensa, mette insieme tutto, le coincidenze, le somiglianze, il percorso che in fondo non è così diverso da quello di un ex sindaco famoso. E’ sindaco, come lo era lui. Guida una grande città d’arte, come faceva lui. Sogna di trasformare il suo comune nel simbolo di una nuova riscossa italiana, esattamente come lui. E oggi Brugnaro è qui. Ma un domani, caro Silvio, chi lo sa.
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