Sveglia, la crisi è finita
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Tasse, spesa pubblica, psicologia. E poi Obama, Putin, la Siria e il Cav. Intervista a Matteo Renzi
Vincino (Foglio)
di Claudio Cerasa | 12 Settembre 2015 ore 06:02
L’undici settembre e la Siria. Il terrorismo, il Mediterraneo. Il rapporto con la Russia di Putin e con l’America di Obama. E poi l’Italia e la legislatura. La resistenza del Pd e il rapporto con Forza Italia. L’economia e la spending review. La flessibilità e il senso di quello che dovrà essere uno degli obiettivi dei prossimi mesi del governo: mettere in circolo non solo una buona dose di riforme, ma anche quello che oggi il presidente del Consiglio considera prioritario per la salute del paese: l’idea, come dice lui, che l’Italia “ha finalmente svoltato”. La nostra conversazione con Matteo Renzi parte da qui. “Lo dico senza problemi e lo dico in base ai numeri. L’Italia ha svoltato. Punto. L’economia sta ripartendo. I consumi crescono. La produzione industriale fa segnare numeri positivi. Il turismo va bene. L’Expo è stata un successo, nonostante i mille problemi e le gufate. La crescita va oltre le nostre aspettative, e la vediamo tutti. E il Jobs Act ha prodotto il risultato che i nostri detrattori dicevano che sarebbe stato impossibile raggiungere. I posti di lavoro aumentano, aumentano le stabilizzazioni, aumentano anche i nuovi lavori, e in pochi mesi abbiamo portato più diritti e meno precariato. Dobbiamo continuare su questa strada, certo, e lo dobbiamo fare avendo in testa un’idea precisa: in un paese in cui i cittadini non spendono come potrebbero, pur continuando ad accumulare risparmi su risparmi, è ovvio che il problema non riguarda solo una riforma giusta da fare, ma riguarda anche la capacità di trasmettere fiducia. Qualcosa nelle nostre teste sta cambiando, se è vero che quest’anno gli italiani hanno fatto una settimana in più di vacanza rispetto allo scorso anno, e non è un dato banale. Significa restituire tranquillità e fiducia. So che anche questo non è sufficiente e per questo continueremo a lavorare”.
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Il terreno su cui si misurerà la reale capacità del governo di non sprecare il trend positivo di questi mesi è naturalmente legato alla fattura della prossima legge di stabilità e su questo punto chiediamo a Renzi una riflessione. Presidente, che senso ha considerare prioritaria l’abolizione della tassa sulla prima casa e non destinare per esempio quei soldi a un secondo taglio sull’Irap? “E’ una questione di giustizia sociale – dice Renzi – ma è anche una questione psicologica”. In che senso? “Nel senso che sono convinto che dire forte e chiaro che il governo abolirà la tassazione sulla prima casa – per tutti e per sempre – ha due effetti immediati. Il primo è uno stimolo a un settore traino per l’Italia come quello dell’edilizia, e vorrei mettere nero su bianco che la prima grande sfida del 2016 per noi sarà questa: far crescere l’occupazione anche in questo settore, puntando su qualità, sostenibilità, attenzione ad ambiente e vivibilità. Perché se non corre un’edilizia che non sia colate di cemento, ma progetto, invenzione, recupero, qualità della vita, sicurezza, non corre il paese. Certo. So quanto è importante agire ancora sull’Irap, dove un primo taglio lo abbiamo fatto anche se i sindacati che rappresentano gli imprenditori, a differenza degli imprenditori, fanno spesso finta che non sia successo niente. Ma per capire l’importanza del taglio della tassa sulla prima casa bisogna pensare al secondo effetto. Negli ultimi anni, ricorderete, i governi hanno confuso i cittadini, togliendo e rimettendo la tassa, e arrivando al punto, nel governo che mi ha preceduto, di togliere la tassa per poi rimetterla con un altro nome. Eliminare per tutti, per sempre, la tassa sulla prima casa, dunque, non crea solo semplificazione e giustizia ma crea anche un clima di fiducia di fronte allo stato: e sono certo che anche qui i numeri ci premieranno”.
Problema: siamo sicuri che sia sano per un paese ridurre le tasse senza ridurre in modo organico la spesa pubblica? “Qui arriviamo al nocciolo del problema. La revisione della spesa per me è una priorità, ok? Ma dire che le tasse si abbassano solo tagliando la spesa è una sciocchezza. Non è e non sarà la strada dell’Italia, ma pensate all’Inghilterra del mio amico Cameron: lì le tasse sono state tagliate, sì, ma vengono tagliate, come è successo anche in Spagna, facendo leva soprattutto sul deficit”. Il deficit. Ricorderà, presidente, che nella campagna congressuale al centro della sua mozione era presente l’idea di non considerare il tre per cento un totem. Cosa è cambiato?
“Il mio ragionamento era diverso: la flessibilità è l’unico modo per combattere l’austerità, e ne sono straconvinto. Oggi, grazie anche alla nostra posizione in Europa, è una battaglia vinta, è una acquisizione che vale per tutti e non per un paese o l’altro. Per quanto riguarda l’Italia, vorrei essere chiaro: noi non sforeremo il tre per cento. E’ una questione di serietà. Ma ci serviremo di quella flessibilità, prevista dal Fiscal compact, che anche grazie al nostro lavoro in Europa non è più impossibile da utilizzare. Che cosa significa concretamente? Significa che quell’un per cento di pil in più che potremo utilizzare quest’anno potrà essere destinato metà alle riforme e metà agli investimenti. E significa che pur rimanendo sotto il 3 per cento il prossimo anno ci saranno fino a 17 miliardi per noi. Con la curva del debito che scenderà. E questo non è un dono che arriva dal cielo; è una battaglia che abbiamo combattuto in Europa, e che stiamo vincendo”.
I 17 miliardi dall’Europa, il piano sul debito
Presidente, non ci giriamo intorno ancora: la spesa pubblica? “Quantificarla oggi non ha senso così come non ha senso dire che non è stata tagliata a sufficienza in questi anni. Serve un’attenzione particolare per la Pubblica amministrazione. Concretamente? Garantire più efficienza, per esempio valorizzando il ruolo di Consip. E sarà azionando anche queste leve che dal prossimo anno faremo quello che avevo promesso, per rispetto del paese e per rispetto dei nostri figli: la riduzione del debito pubblico attraverso riduzioni della spesa ma anche attraverso operazioni ad hoc: dal 2016 diventerà una delle priorità del governo”. Sempre che la sua maggioranza resista, presidente. Sulla riforma costituzionale, al momento, il suo governo non ha i numeri al Senato. “Vuole la verità? Le tensioni sono fisiologiche, ma la maggioranza c’era e ci sarà. I numeri ci sono. E porteremo a casa un risultato che molti prima di noi hanno tentato di raggiungere senza successo: la fine del bicameralismo perfetto. Tutto il resto è contorno”. I numeri in Senato, purtroppo, non sono contorno. “Ripeto, la maggioranza ci sarà. Non ci sarà bisogno di nessuna forzatura. La proposta Boschi-Finocchiaro è una mediazione possibile”, dice Renzi riferendosi all’idea di introdurre un listino elettorale separato dei consiglieri regionali da far diventare anche senatori, “ma ciò che mi fa sorridere è che la parte della riforma costituzionale che la minoranza del Pd chiede di cambiare è la stessa che la minoranza del Pd aveva chiesto di cambiare nella lettura precedente, ed era stata modificata…”. In teoria, facciamo notare a Renzi, un modo per risolvere il problema ci sarebbe, in caso di turbolenza a sinistra del Pd: avvicinarsi a Forza Italia. “Berlusconi è imperscrutabile, non vedo possibilità di dialogo con un partito dove qualcuno – non è Berlusconi – definisce ‘fascista’ una riforma che ha votato con noi fino a qualche mese fa… Ma in quel partito un problema esiste e dubito che chi milita in Forza Italia sia disposto a favorire la salvinizzazione del centrodestra. Basta guardare in Europa per capire che il tema c’è: Forza Italia sta con il Ppe, Salvini è contro il Ppe”. Renzi sostiene dunque che la riforma passerà e che non ci saranno problemi, ma a chi dice che il passaggio chiave per valutare lo stato di salute dell’esecutivo è legato alle prossime amministrative il premier risponde in modo negativo: non è così.
Le amministrative? Non decisive per il governo
“Noi, come Pd, cercheremo di vincere le amministrative, ci mancherebbe, faremo la nostra parte, ma mi faccia dire che non rappresenteranno un voto decisivo per il governo. Se proprio dobbiamo individuare una data di midterm quella data è il referendum sulla riforma costituzionale del prossimo anno. Quello sarà un momento decisivo. E sulla connessione sentimentale con il paese, sondaggi o non sondaggi, diciamo che sono pronto a scommettere”.
La nostra conversazione con il presidente del Consiglio si conclude con alcune considerazioni legate a una data particolare, quella di ieri: l’11 settembre. E dire 11 settembre oggi vuol dire tutto. Terrorismo. Medio oriente. Siria. “Quattordici anni dopo l’attentato alle Torri gemelle ci troviamo di fronte a una forma di terrorismo che comunque è ancora forte e devastante e che l’occidente non può ignorare: penso al franchising terroristico dell’Isis, che prende forma anche lontano dai tradizionali scenari di guerra e che gioca ormai con folle lucidità anche sul piano comunicativo. Con strategie che spesso mandano in cortocircuito il sistema informativo. Vi faccio un esempio. In Libia, oggi, l’Isis riesce a entrare nelle nostre case con video a effetto, terribili ed efficaci dal punto di vista della propaganda, come quello che abbiamo visto prima dell’estate”. La storia della Libia però, così come quella della Siria, ci costringe a fare i conti con un tema importante, a proposito di America e di 11 settembre: otto anni dopo l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca possiamo dire che la strategia del leading from behind abbia portato benefici in medio oriente? “Credo – dice Renzi – che la valutazione sulla legacy diplomatica di Obama sia prematura, servirà del tempo, certo, a cominciare dagli storici accordi con Cuba e con l’Iran. Ciò che invece non si può non riconoscere è che Obama non ha vinto, ma ha stravinto la sua scommessa economica e sfido io a trovare qualcuno che otto anni fa avrebbe previsto che l’America, dopo la crisi, sarebbe tornata a correre con questa velocità. Per tornare al nostro medio oriente – conclude Renzi – il nuovo equilibrio geopolitico dimostra che il nostro governo c’ha visto giusto scegliendo di considerare il Mediterraneo la priorità assoluta per la politica estera, non solo dell’Italia ma dell’Europa. Il primo viaggio che ho fatto da presidente del Consiglio non a caso è stato in Tunisia, paese con il quale abbiamo un rapporto stabile e solido, ma penso soprattutto a quello che oggi è un elemento importante per la stabilità del medio oriente: il rapporto con l’Egitto, player centrale della regione, guidato dal presidente al Sisi”. A proposito di stabilità: l’avvicinamento tutt’altro che felpato della Russia di Putin alla Siria di Assad è un fattore di destabilizzazione? “La mia idea è una ed è semplice, e non confligge affatto con l’attenzione che tutta la comunità internazionale deve avere nei confronti di quanto sta accadendo in Ucraina: dobbiamo metterci in testa, però, che avere la Russia a bordo della comunità internazionale è importante. E non perché altrimenti, come sostiene qualche politico geniale, il distretto della scarpa italiano non vende a San Pietroburgo – il problema della vendita delle scarpe a San Pietroburgo, come si sa, è legato più al petrolio che alle sanzioni – ma perché la Russia, se rientra in un quadro di collaborazione, può aiutare la stabilizzazione geopolitica di cui abbiamo tutti bisogno. Dobbiamo però tutti fare uno sforzo per considerare una priorità per il mondo quella di stabilizzare quelle regioni. E quando dico che per questo governo la politica estera – basti pensare al Mediterraneo e all’Africa – è una priorità lo dico per una ragione semplice: mettere la testa in modo serio sulla politica estera, oggi, è il modo più serio per pensare non solo alla salute dell’Europa ma anche al futuro dei nostri figli”.
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