La forza militare che serve all'Italia contro lo Stato Islamico
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Caro Renzi, soccorrere e accogliere senza intervenire, con una forza proporzionata alla minaccia, nei luoghi della guerra e dei genocidi è come asciugare con lo straccio e il secchio la casa inondata, senza chiudere il rubinetto
Matteo Renzi durante la visita ai militari italiani in Afghanistan lo scorso giugno (foto LaPresse)
di Adriano Sofri | 09 Settembre 2015 ore 16:59 Foglio
Peccato che Matteo Renzi si sia affrettato a dichiarare che l’Italia si terrà alla larga dalle iniziative militari annunciate o discusse in Francia, nel Regno Unito, in Canada, in Australia. Queste iniziative hanno un colossale difetto: arrivano molto tardi. Si è lasciato che una banda armata internazionale – non c’è infatti, in Siria o in Iraq, nemmeno lo straccio di pretesto dell’ingerenza in uno Stato indipendente – infierisse su umani e cose e si costituisse in Stato a sua volta, embrione del Califfato universale cui proclama di ambire. Si discute dell’estensione dei raid dall’Iraq alla Siria, ridicolmente, come se esistessero ancora l’Iraq e la Siria.
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Matteo Renzi e i suoi colleghi di governo hanno detto anche delle impetuose sciocchezze, sull’intervento in Libia, sui barconi da bombardare. Ma hanno badato a “restare umani”, quanto al soccorso dei migranti, anche quando l’ondata del ripudio sembrava gonfiarsi fino a diventare travolgente. Però Renzi non può ignorare che soccorrere e accogliere senza intervenire, con una forza proporzionata alla minaccia, nei luoghi della guerra e dei genocidi è come asciugare con lo straccio e il secchio la casa inondata, senza chiudere il rubinetto. L’Italia ha forze armate, militari e carabinieri, sperimentate e riconosciute per la loro eccellenza nelle missioni cui partecipano. Se Renzi ritiene estemporanee le iniziative di altri paesi europei, proponga un’iniziativa più larga, metodica ed efficace dell’Europa, almeno equivalente a quella che, ancora più in ritardo, finalmente una parte dell’Europa cerca di varare sui rifugiati. Se ritiene che l’Italia debba riservare le proprie forze alla Libia, una volta che là si siano stabilite condizioni locali e internazionali per un intervento appropriato, allora dica questo, e agisca di conseguenza. Del resto l’Italia ha circa trecento militari nel Kurdistan iracheno, trincerati nell’aeroporto di Erbil e addetti all’istruzione – importante, certo – di poliziotti e militari locali: nemmeno distribuendoli fra i diversi, e separati quando non rivali, fronti curdi, tra Makhmour e Kirkuk. Niente può nuocere quanto l’improvvisazione e la millanteria quando si tratti del ricorso alla forza.
Ma l’intera comunità occidentale, quella che oggi si divide le quote di dannati – o le respinge, e sono ancora le avanguardie di milioni – dovrà prima o poi pensare che i 240mila morti siriani, le decine di migliaia iracheni, e gli innumerevoli altri nel nord e nel centro dell’Africa, sono esattamente i danni collaterali dell’omissione di soccorso e di difesa del diritto umano. Ora si è fatto molto tardi. Salvo volere l’altrui e propria rovina fino al fondo, non è troppo tardi. Poi ci sono i dettagli, quelli che si studiano una volta spalancata la carta geografica su un tavolo e preparati gli spilli con le bandierine. Quanto a chi ripete che “la forza non è mai la soluzione”, magari anche mentre abbraccia i fuggiaschi e regala cibo e bambole alle loro bambine, e non sa immaginare i loro simili mentre sono bombardati, catturati, violentati, braccati – be’, il suo Dio lo perdoni.
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