La Meloni è diventata grande e sulla Siria sembra Boris Johnson
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La sorellina d’Italia e il sindaco di Londra le cantano in coro a Renzi e agli ipocriti dell’umanitarismo impaludato. Chapeau
di Alessandro Giuli | 08 Settembre 2015 ore 17:17 Foglio
Giorgia Meloni è diventata grande e ha imparato a scrivere anche di politica estera. Per quel che vale – ci conosciamo da tempo – dovrebbe esserle nota la mia totale disistima nei confronti della sua piccola destra, delle sue fantasticherie identitarie a metà tra il sanfedismo e la letteratura fantasy, con tutto quel corredo di grevità sentimentale e tardo-giovanilistica. Detto questo, la ragazza ha pubblicato ieri su Libero un gran bel pezzo sulla Siria. Giorgia ha scelto il corpo a corpo contro l’ipocrisia renziana e contro l’umanitarismo rancido che si accoccola intorno ai migranti ma rimuove al contempo le radici del problema (a cominciare dai tagliagole dello Stato islamico) e non osa pronunciare la parola guerra, perché preferisce “girare lo sguardo dall’altra parte” quando si tratta di dare un segnale a quelli che restano lì, nell’inferno siriano e in quello africano, per scelta eroica o per necessità. Più facile “usare la foto di un bambino morto per prendere gli applausi a un comizio di partito”.
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“E’ questa – dice Meloni – la politica che si permette di darci lezioni, dall’alto del suo cinismo e della sua ipocrisia?”. Sì. Ed è il calco negativo di un occidente flaccido e diviso, che stancamente si crede furbo e non rinuncia a esercitare un malriposto suprematismo moralistico nei confronti di chi chiama le cose con il loro nome, e senza necessariamente urlare come un Salvini qualunque. Boris Johnson, per esempio, sindaco conservatore di Londra, sempre ieri mostrava fiero il suo petto britannico ai polemisti europei, tedeschi sopra tutto, che accusano gli inglesi d’indifferenza.
Ha ragione Boris Johnson (ho letto anche lui su Libero), quando dice che “a chi non si accontenta di fare demagogia per lavarsi la coscienza, l’unica soluzione seria e praticabile pare una: intervenire con decisione, anche militarmente, al fianco dei governi legittimi che combattono i tagliagole dell’Isis per mettere fine alla guerra e all’orrore”. Deve essere contenta, Giorgia Meloni, è in buona compagnia.
Ma può bastare? Come Gianni Alemanno e altri, al di fuori di Forza Italia, e come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli che invece sono rimasti nel perimetro berlusconiano, la Meloni sta cercando di apparecchiare un futuro accettabile per una destra smarrita. Non mi aspetto granché da loro, però li capisco. E’ spiacevole che si stiano azzuffando intorno alle ricche spoglie patrimoniali della Fondazione An, divisi sull’obiettivo: trasformarla in un partito-federazione semi nostalgico oppure dinamizzarne la vocazione culturale? Falso problema, temo, se non si mettano prima a fuoco i pochi e chiari punti rifondativi di un progetto comune, o per lo meno se non si sia messo in chiaro quel che non ha più senso essere oggi, quel tanto che non ha funzionato negli utimi disastrosi anni. Affari loro, dopotutto. Ma quanti altri rimpianti sono già in attesa lungo la via appena imboccata in disordine sparso? E’ vero che, a forza di trapiantare modelli stranieri, come fece Gianfranco Fini con Sarkozy, si rimane per sempre subalterni. Ma certo qualcosa di buono fra i Tories britannici esiste, se ne può parlare insomma, magari evitando di arrangiare ridicole succursali come quella di Fitto e dei suoi cameroniani del Tavoliere. Meloni ha la stecca facile, ma questa volta l’ha cantata bene. Ci rifletta su, costringa i suoi sodali a uscire dall’obitorio aennino in cui vorrebbero ricacciarsi. E ricacciarla, proprio ora che è diventata grande.
Alessandro Giuli
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