Niente funerali per Antonio Nirta: il profilo del boss
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La mediazione tra i clan nemici. Gli intrecci col caso Moro. I processi sfangati. Viaggio nel passato di Nirta. Capo 'ndrangheta privato delle esequie pubbliche.
di Simone Di Meo | 05 Settembre 2015 Lettera43
Fa più paura da morto che da vivo, il gran capo della 'ndrangheta Antonio Nirta.
Per vent'anni circa, l'Inps gli ha pagato la pensione da caposquadra forestale.
Ora che è finito sottoterra, il Questore di Reggio Calabria ha vietato i funerali pubblici.
LONTANO DAI RIFLETTORI. L'addio al boss di San Luca, spirato alla veneranda età di 96 anni nella sua casetta di Benestare, nella Locride, si è svolto qualche giorno fa all'alba nel cimitero cittadino alla presenza di una ventina di familiari. Nel più assoluto riserbo.
Lo show funebre di Vittorio Casamonica, nella chiesa di don Bosco a Roma che ha inorridito l'Europa il 20 agosto scorso, non si è ripetuto. Ma – dice chi conosce le cose di mafia calabrese – era un pericolo sostanzialmente nullo perché i Nirta mai avrebbero commesso l'errore di finire volontariamente sotto i riflettori come gli zingari del Tuscolano.
USCITO INDENNE DA TUTTI I PROCESSI. Toni “due nasi” - per il proverbiale fiuto per i guai da evitare – è arrivato al capolinea da incensurato, nonostante le informative degli organi investigativi nazionali e internazionali lo indicassero come uno dei più importanti esponenti della mafia ancora in circolazione.
Dagli Anni 70, lo stesso Stato che prima gli ha versato lo stipendio e poi l'assegno previdenziale, ha provato in tutti i modi a metterlo in galera e buttare la chiave.
Come ha ricostruito il giornalista Michele Inserra sul Quotidiano del Sud facendone un dettagliato elenco, Nirta ha scansato tutti i più grandi processi di 'ndrangheta nei quali sono inciampati i suoi pari grado.
Per il pentito Morabito partecipò al rapimento Moro
Di lui, il pentito Saverio Morabito, disse che collaborò addirittura coi Servizi segreti infiltrandosi nelle Brigate rosse e partecipando all'agguato di via Fani per rapire Aldo Moro.
Non è mai stato incriminato formalmente, anche se i processi e gli esperti del sequestro dello statista Dc ancora non sono riusciti a spiegare chi fosse quel misterioso e infallibile cecchino che da solo annientò mezza scorta.
«GRANDE PADRONANZA DELL'ARMA». «Lo sparatore mostrava estrema padronanza dell’arma. Sparava avendo la mano sinistra poggiata sulla canna», ha scritto nel libro Storia di un delitto annunciato il magistrato Carlo Alfredo Moro, fratello di Aldo, «e con la destra imbracciava il mitra, tirava con calma e determinazione, convinto di quello che faceva».
Silenzioso come le vallate dell'Aspromonte, Nirta ha subito solo un sequestro preventivo da 6 milioni di euro nel 2004, quando finalmente le forze dell'ordine riuscirono a dimostrare che ricchi conti correnti, appartamenti e quote societarie erano a lui riconducibili nella sostanza, ma assai giustificabili dal punto di vista della sua dichiarazione dei redditi.
AL VERTICE DELLA 'MAGGIORE'. È stato uno dei vertici della “Maggiore”, la maxi-alleanza 'ndranghetista che ha raggruppato, intorno agli Anni 90, i gruppi più potenti e spietati del Reggino. Ma non era un uomo di guerra, Nirta. Probabilmente, non lo è mai stato.
Era piuttosto un padrino alla don Vito Corleone: tutto diplomazia e business. Il pellegrinaggio di faccendieri e uomini d'onore verso Benestare era ben noto agli inquirenti che lo tenevano d'occhio.
Il compito di Nirta era mediare tra le fazioni in lotta, consigliare un affare, far chiudere una faida.
LA COSTRUZIONE DEL NUOVO ORDINE MAFIOSO. Ai tempi delle mattanze di San Luca, i clan decisero di affidargli il compito (e l'onore criminale) di fare da giudice e costruire il nuovo ordine mafioso regionale.
Riuscì a portare a termine il compito, e per almeno un quarto di secolo la 'ndrangheta della Locride è cresciuta invisibile fino all'esplosione del bubbone con l'omicidio Fortugno.
Ma era già un'altra stagione quella, che non apparteneva più al boss che fiutava i tranelli e che sparava come un professionista.
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