Dal vaffa al partito populista di massa
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Così Grillo vuole superare i limiti delle origini e organizzarsi. Tra “purezza” e governo. Metodo e compagni di strada
di Maurizio Crippa | 02 Settembre 2015 ore 14:12 Foglio
Adesso Beppe Grillo corregge il tiro, ripesca dal suo blog una sura del 1 dicembre 2012 sul metodo di selezione delle candidature che serve a ribadire che le “parlamentarie” via web restano la strada maestra. La correzione non intacca nulla del processo evolutivo in corso, non da ieri, nel Movimento cinque stelle. Né il giudizio che l’ex comico ha dato qualche giorno fa a Brescia: “Nel 2013 non eravamo pronti, abbiamo imbarcato chiunque”. Mettere a punto un metodo intermedio tra “un clic vale uno” e un casting di partito in grado di “organizzare” una classe dirigente e selezionare possibili candidati di governo non sarà una passeggiata per (l’ex) MoVimento. Ma non si tornerà indietro.
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Vuoi per quel po’ di esperienza maturata nelle Aule, nelle commissioni parlamentari e in qualche amministrazione locale; vuoi per le ambizioni non più nascoste di alcuni esponenti di spicco – i più pragmatici, i più svelti a imparare – che non sono più disposti al solo movimentismo perpetuo e “sfancula-tutti”, il M5s si sta trasformando da mesi in un organismo diverso, nuovo anche per la politica italiana: un partito populista di massa con ambizioni di governo. Un partito coeso che si pone, leninisticamente, la sua domanda sul “Che fare?”, ma che leninista non è (una sfumatura, piuttosto, trotzkista?) perché non ha un dogma&programma come linea generale, bensì la spinta mutevole d’umore del populismo, del lasciare la parola alla base, qualsiasi cosa dica.
Ma intanto, ha cambiato metodo. Dall’invisibilità elitaria sul web alla televisione (con casting in progress di volti e stili) alla ricerca di rapporti organici con “entità terze”, o utili compagni di strada. Vedi la designazione nel cda Rai di Carlo Freccero, vedi lo scambio quasi simbiotico con un media “tradizionale” come il Fatto quotidiano.
La differenza è che finora questo era sembrato un processo esterno a Grillo, posizionato dalla sua classe dirigente (da Casaleggio?) sul piedistallo lontano riservato al Fondatore (e lui era “stanchino”). Ora, come per Khomeini coi suoi pasdaran, e con i sondaggi di nuovo in poppa, Grillo sembra tornare la guida essenziale, quello che garantisce la sintesi tra la purezza degli inizi e la nuova stagione tutta politica.
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