Camere di commercio, si taglia. In un anno passeranno da 105 a 60

In vigore la legge che delega il governo ad attuare il riordino degli enti camerali. Solo con una soglia minima di 75 mila imprese si potrà evitare l’accorpamento

di Michelangelo Borrillo Il Corriere della Sera

È iniziato il count down per la riforma delle Camere di commercio. È infatti entrata in vigore lo scorso 28 agosto la legge 124/2015 che delega il governo al riordino degli enti camerali. Entro 12 mesi l’esecutivo dovrà adottare un decreto legislativo che riformerà l’organizzazione, le funzioni e il finanziamento della Camere di commercio.

Tutti i tagli

Nel dettaglio, il decreto legislativo dovrà essere adottato nel rispetto di sei principi e criteri direttivi. Il primo — il più ostico per i conti degli enti camerali — riguarda la determinazione del diritto annuale a carico delle imprese, che sarà ridotto, rispetto agli importi determinati per il 2014, del 35% nel 2015, del 40% nel 2016 e del 50% dal 2017. Il secondo, quello che probabilmente farà discutere di più dal punto di vista “campanilistico”, prevede la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non più di 60 mediante accorpamento di due o più Camere di commercio: soltanto con una soglia dimensionale minima di 75 mila imprese iscritte sarà possibile evitare l’accorpamento. Il terzo criterio attiene alla ridefinizione dei compiti e delle funzioni: occorrerà individuare più nel dettaglio gli ambiti di attività nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell’economia locale. Il quarto punto prevede il riordino delle competenze relative alla tenuta e valorizzazione del Registro delle imprese, il quinto la definizione di standard nazionali di qualità delle prestazioni delle Camere di commercio e il sesto la riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte.

L’autoriforma

In diverse regioni le Camere di commercio hanno già avviato una sorta di autoriforma in relazione agli accorpamenti. Che prevedono, per esempio, che in Emilia Romagna si passi da 9 a 4, in Piemonte da 8 a 3, in Veneto da 7 a 5, nel Lazio da 5 a 2, in Campania da 5 a 4 e in Puglia da 5 a 3. In Abruzzo, Chieti e Pescara hanno già deliberato di andare insieme, come pure in Basilicata Potenza e Matera, in Friuli Trieste e Gorizia e in Molise Campobasso e Isernia. In Calabria è già stata deliberata l’unione a tre tra Catanzaro, Crotone e Vibo così come in Liguria tra Imperia, La Spezia e Sav ona e nelle Marche tra Ascoli, Fermo e Macerata. Tra le regioni più grandi i giochi sono fatti in Sicilia, con Palermo che ha deliberato l’accorpamento con Enna e il matrimonio a tre di Agrigento, Caltanissetta e Trapani e quello a quattro tra Catania, Messina, Ragusa e Siracusa. Riduzione da 7 a 5 effettuata anche in Veneto con l’accorpamento di Venezia con Rovigo e di Treviso con Belluno. In Piemonte si registra solo l’unione tra Biella e Vercelli e in Toscana quella tra Grosseto e Livorno.

Mancano all’appello regioni come la Lombardia e, come si è visto, non tutte quelle che hanno deciso di avviare l’accorpamento hanno già deliberato chi va con chi e chi evita l’accorpamento. Fra dodici mesi il quadro dovrà essere necessariamente più chiaro

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