L'euro non ha portato bene all'Italia. Finora
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La drammaticità di questi dati è confermata da una recente ricerca della Bce,
di Marino Longoni 27.8.2015 Italia Oggi
L'euro non ha fatto bene all'Italia. Almeno finora. Lo dicono i numeri. Il Belpaese è infatti l'unico paese europeo che non solo non è cresciuto da quando è entrato nella moneta unica, ma ha addirittura perso in termini di Pil pro capite che, dal 1999 a oggi è sceso da 30 mila a 28 mila euro. Nello stesso periodo il Pil pro capite medio dell'area euro è cresciuto di oltre 10 punti (da 26 mila a 30 mila euro), quello spagnolo del 9%, quello tedesco del 21%. Persino la Grecia ha guadagnato 3 punti. Fuori dall'Europa le cose non cambiano di molto: il Pil pro capite americano e britannico nello stesso periodo è salito del 17%, quello giapponese del 15%.
La drammaticità di questi dati è confermata da una recente ricerca della Bce, secondo la quale, dal 1999 il Belpaese è quello che ha subito la peggiore performance tra gli iniziali 12 paesi membri: prima della moneta unica era tra i paesi con il reddito pro capite fra i più elevati, oggi si trova agli ultimi posti della classifica, insieme a Grecia e Portogallo. Ciò nonostante l'Italia si è sempre impegnata al rispetto dei parametri di bilancio imposti dalla disciplina comunitaria (salvo il rapporto debito pubblico/Pil, che è il doppio di quello che sarebbe consentito).
Volendo fare un bilancio provvisorio dell'appartenenza dell'Italia all'euro i dati più evidenti sono da una parte la rinuncia a una fetta consistente di sovranità nazionale, che significa rinuncia quasi totale nella definizione degli obiettivi e delle scelte di fondo della politica economica. Dall'altra, forse proprio a causa di questa impossibilità di manovra, l'Italia è il paese che più ha subito la crisi finanziaria degli ultimi sette anni. Crisi dalla quale non si intravede ancora una via d'uscita.
Non c'è dubbio che il percorso tracciato dai responsabili della politica europea sia quello di una sempre maggiore integrazione e non certamente quello del recupero di una sovranità monetaria, fiscale o finanziaria nazionale.
Resta il fatto però che, finora, i criteri di convergenza tanto cari alle istituzioni europee hanno avuto l'effetto contrario a quello sperato, ampliando invece di diminuire il fossato che separa le economie più forti da quelle più deboli. E il caso dell'Italia è forse quello che più rappresenta questo fallimento.