Funerali zingari a cavallo, embè? Ognuno seppellisce i suoi come crede. L’obnubilazione chiamata Mafia Capitale

Il maltrattamento dei morti non fa onore ai vivi. E non c’è abisso retorico di legalismo che tenga. Prendete il caso De Pedis

di Giuliano Ferrara | 22 Agosto 2015 ore 06:15 Foglio

A volte la stupidità, specie se al servizio della menzogna, esplode in modo feroce. Stanno cercando di convincerci, e da novembre se ne vedranno delle belle al processo contro Carminati e Buzzi, che a Roma tutto è in mano a una mafia la cui cupola veniva intercettata, mentre chiacchierava à la Tolkien di terre di mezzo e altre cazzate, su una panchina di un distributore di benzina di Vigna Clara, quartierino di Roma nord per affluenti e fighetta, cercando accordi e patti per locupletare di mazzette personale municipale corrotto in ordine a raccomandazioni, assunzioni, appaltini di una rete di cooperative umanitarie fino a ieri molto prestigiose e molto solidali. Ora i media e i politici di serie B che si occupano della faccenda, sulla scorta di una magistratura che li guida passo passo e li nutre di rivelazioni continue, perfino annunciando retate e arresti a un convegno romano del Partito democratico, stanno inscenando una chiassata balorda sui funerali kitsch-glamour di un capofamiglia Sinti, Vittorio Casamonica, immigrato in Italia negli anni Settanta, e installato con i suoi cari nella zona orientale della Capitale, dove si è radicata una rete di esattori di crediti (usura) e altre bellurie paracriminali certo non commendevoli, roba da cravattari di grido, magari fiancheggiando qualche boss della compianta banda della Magliana, ma che la mafia non c’entri un tubo sono proprio i funerali zingari a dimostrarlo.

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Premessa. Ognuno seppellisce i suoi familiari e amici come gli pare. E ai defunti tutti va portato il rispetto che magari non hanno legalmente meritato da vivi. Quando Veltroni sindaco, rivelando un bel vizio di forma della cultura fanatico-legalista della sinistra manettara, organizzò e plaudì al trasferimento della salma di un boss della Magliana, Enrico De Pedis, che i preti avevano ricoverato, parlo della salma, nella chiesa di Sant’Apollinare, noi da soli protestammo: il maltrattamento dei morti non fa onore ai vivi. E non c’è abisso retorico di legalismo che tenga: se il cristiano De Pedis aveva donato soldi e patrimonio alla chiesa e l’uso della chiesa prevede di considerare donazioni e pentimenti come viatico per una sepoltura onorevole anche di un boss pentito, lo scandalo non è lì ma nella pretesa dello stato di imporre una riesumazione e un trasloco evidentemente grottesco trent’anni dopo la morte del reo, una roba da inquisizione spagnola.

Ora anche Orfini, la Bindi, destra e sinistra, fanno a gara nell’estorcerci indignazione per un carro funebre trainato da sei cavalli scuri, per un manifesto in cui il defunto è vestito alla papalina e si staglia contro un’immagine del Colosseo, per una Rolls Royce che ai matrimoni e ai funerali fa status, per un elicottero che lancia rose e altri elementi da Cinecittà sul Tevere o da centurioni abbindolaturisti vaganti dalle parti di piazza Venezia e ai Fori Imperiali. Tutti ma proprio tutti, compreso il solito don Ciotti che la solidarietà imprenditoriale la pratica in prima persona ed evidentemente non ama la concorrenza, hanno denunciato con toni tenorili le responsabilità dello stato (il prefetto Gabrielli si è detto preso alla sprovvista) e della diocesi di Roma (il parroco ha detto che non ne sapeva niente) per la messa in scena, tipicamente Sinti, di uno sfarzo e di un lusso funerario che fanno rivoltare nella tomba tutti i boss veri della mafia vera, i quali amano omaggi e saluti estremi popolari e cattolici, ma non precisamente di quella fatta.

E’ pazzesco leggere certi commenti, certe cronache, certe dichiarazioni. Sembra che i Casamonica non possano seppellire come gli pare il loro capostipite. E’ una sfida allo stato, alla dignità della legge, alla purezza della chiesa. A me questo stato di sospensione della realtà, questo incubo a occhi aperti chiamato Mafia Capitale, come fosse un dipartimento del municipio, sembra la dimostrazione di una comunità, togati giornalisti e politici, che ha perso letteralmente il ben dell’intelletto. Penso che legge e ordine vadano fatti rispettare, in particolare quando si tratti di azioni di viventi, ma senza sceneggiare l’indignazione anticrimine creando dei “romanzi criminali” che sollecitano l’immaginazione più pigra e servono l’interesse di una casta di rispettabili, non della società liberale. Ma sicuramente mi sbaglio.

Categoria Italia

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