Il piano Mattarella per scortare la legislatura
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Le consultazioni segrete avviate dal capo dello stato con le opposizioni sulla riforma costituzionale nascondono una preoccupazione: i margini per il governo Renzi ci sono ancora, ma se le cose non dovessero funzionare che si fa?
di Claudio Cerasa | 18 Agosto 2015 ore 06:18 Foglio
E se poi non funziona? Cioè. E se poi, per una ragione o per un’altra, il piano di Matteo Renzi non dovesse andare in porto? E se i numeri non ci fossero? E se la minoranza del Pd dovesse continuare a fare le bizze? E se il dialogo con Forza Italia non dovesse rinascere? E se il Senato dovesse trasformarsi in una palude infine impraticabile per questa maggioranza? E se qualcosa da qui alla fine dell’anno, insomma, dovesse andare storto, che cosa succederebbe? E siamo sicuri che se qualcosa dovesse andare storto sarebbe ancora Renzi il dominus di questa legislatura? Fino a qualche tempo fa gli interrogativi che avete appena letto in sequenza potevano essere catalogabili senza problemi sotto la solita etichetta del chiacchiericcio parlamentare. Ma la novità delle ultime settimane è che le domande su quello che potrebbe capitare qualora le cose non dovessero andare per il verso giusto per il governo sono improvvisamente uscite dallo stato gassoso del pettegolezzo e hanno assunto le sembianze più solide di un dossier delicato e concreto che pochi giorni prima delle vacanze è stato studiato con attenzione dal presidente della Repubblica e dalla sua squadra del Quirinale. Al Colle tutti pensano che alla fine Renzi troverà un modo per riuscire ad avere la maggioranza al Senato e in pochi credono che le frizioni sulle riforme costituzionali possano davvero mettere a rischio la legislatura. Nonostante ciò, seppure con metodi diplomatici, prudenti e non invasivi, qualcosa comincia a muoversi al Quirinale e non è un caso che poco prima delle vacanze palermitane il capo dello stato e alcuni suoi ambasciatori abbiano avuto modo di ricevere in un paio di incontri riservati alcuni pezzi grossi delle opposizioni, per poter mettere a tema già durante l’estate quale potrebbe essere una exit strategy non traumatica per evitare di farsi trovare impreparati qualora il problema dell’approvazione delle riforme costituzionali dovesse passare dallo stato gassoso a quello solido. Che fare? La discrezione di Mattarella non va confusa con il suo non attivismo e la prima strada auspicata dall’attuale capo dello stato coincide con quella promossa implicitamente anche dal suo predecessore, Giorgio Napolitano. Ovvero: un’assunzione di responsabilità da parte di tutto il Pd che porti a coinvolgere Forza Italia a sostenere un pacchetto di riforme che Mattarella appoggia in modo tutt’altro che formale. La prima strada sarebbe la più logica e la più lineare da percorrere ma non è detto che sia la strada che intende perseguire Renzi – il quale al momento sembra preferire un percorso più avventuroso che coincide con l’idea di costruire una maggioranza ad hoc per approvare la riforma costituzionale, strappando cioè qua e là un po’ di senatori alla minoranza e un po’ a Forza Italia (mercoledì a Forte dei Marmi ci sarà un mini vertice tra Pd e Forza Italia per trovare punti di contatto). Funzionerà la strategia? Nessuno ne ha ovviamente la certezza e i colloqui riservati del Quirinale partono anche da qui: c’è fiducia sul percorso ma allo stesso tempo vi è anche una insicurezza di fatto che alla lunga potrebbe produrre instabilità. E dunque, ancora: che fare?
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Il primo colloquio importante il presidente della Repubblica lo ha avuto alla fine di luglio con un esponente di peso di Forza Italia, a cui il capo dello stato ha chiesto con diplomazia la disponibilità a votare dopo l’estate le riforme costituzionali. La risposta è stata affermativa, ha lasciato presupporre un’intenzione a replicare il patto del Nazareno in forma più ufficiale e dunque di governo ma è stata una risposta vincolata a un punto sul quale Renzi non sembra aver voglia di fare passi indietro: ovviamente la revisione della legge elettorale con l’introduzione del premio alla coalizione e non più alla lista. La preoccupazione di Forza Italia non è legata tanto alla contrarietà di Renzi a modificare l’Italicum ma è legata piuttosto a un problema di tempi e di metodi: e se il presidente del Consiglio dovesse chiederci di votare prima le riforme costituzionali e solo in seguito la modifica della legge elettorale, potremmo mai permetterci il rischio di farci fregare come è già successo con la presidenza della Repubblica? Risposta negativa. Nonostante ciò l’apertura di Forza Italia ad allargare il perimetro della maggioranza, come è noto, esiste. Ma messa agli atti questa disponibilità il partito di Silvio Berlusconi, sempre nello stesso incontro, ha sondato il presidente della Repubblica su un punto in particolare: quali sono le intenzioni del Quirinale nello scenario remoto, e non auspicato neppure da Forza Italia, in cui questa maggioranza non dovesse reggere alla prova delle riforme costituzionali? La risposta di Mattarella ci dice molto su quello che viene considerato dal presidente della Repubblica uno scenario inevitabile in caso (remotissimo) di crisi di governo senza approvazione delle riforme costituzionali. Testuale: “Non consentirò acrobazie”. Nel linguaggio diplomatico di Mattarella non consentire “acrobazie” equivale a dire che se le riforme non dovessero essere approvate da questa maggioranza se ne troverà un’altra che eviterà al paese l’acrobazia di andare al voto con una legge elettorale strabica (Italicum alla Camera e Consultellum al Senato) e una riforma cruciale per il paese lasciata a metà. Esattamente come Giorgio Napolitano, infatti, Sergio Mattarella vede in questa legislatura uno strumento troppo importante, forse l’unico, per provare a depotenziare i populismi. E la convinzione del capo dello stato è che interrompere questa legislatura in modo pasticciato e dunque acrobatico equivarrebbe a regalare il paese ai movimenti e ai partiti più populisti. La preoccupazione del Quirinale su questo punto è così forte che negli stessi giorni in cui Mattarella provava a capire personalmente quanto fosse vera o presunta la disponibilità di Forza Italia a non far crollare questa legislatura, alcuni uomini del capo dello stato hanno sondato sullo stesso tema anche la Lega nord. Tema numero uno, più scontato: a che condizioni la Lega potrebbe dare un contributo alle riforme costituzionali? Tema numero due, meno scontato: a che condizioni la Lega, per salvare la legislatura, potrebbe decidere di entrare a far parte di una maggioranza allargata? Sul primo punto la risposta offerta dalla Lega (che come si ricorderà ha avuto un ruolo importante nello scrivere la riforma costituzionale in commissione Affari costituzionali con Roberto Calderoli) è stata simile a quella che Forza Italia ha suggerito a Mattarella: dipende anche da ciò che si avrà in cambio con la riforma elettorale.
Sul secondo punto, nonostante la discussione sia stata affrontata senza pregiudiziali arrivando anche a provare a capire che tipo di governo avrebbe eventualmente appoggiato il partito di Salvini, la Lega non ha invece mostrato alcuna disponibilità, e il discorso è finito lì (anche se alcuni leghisti giurano di aver sentito alcuni nomi possibili per un governo alternativo a quello guidato da Renzi). Non è finito lì invece il movimentismo di Mattarella che prima di partire per le vacanze ha avuto contatti diretti e indiretti con tutti gli altri soggetti coinvolti nella girandola delle riforme costituzionali – e le consultazioni convocate ad hoc su questo tema da parte del presidente della Repubblica hanno coinvolto anche l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani.
I colloqui del capo dello stato continueranno anche durante le vacanze ma l’incontro più delicato che Mattarella avrà, in quella che è la prima partita importante che il presidente ha scelto di giocare in prima persona da quando è arrivato al Quirinale, è quello che avverrà a settembre con il presidente del Senato Pietro Grasso. Il tema è cruciale e da qui si capirà meglio quale sarà il destino della riforma costituzionale e forse anche del governo. Problema: l’articolo numero due del testo di riforma costituzionale sull’elettività diretta dei senatori è emendabile, come sostiene la minoranza del Pd, oppure no? Con discrezione, il Quirinale converge sull’interpretazione data dal governo: quando un articolo di una riforma costituzionale ha già avuto una doppia lettura non è più modificabile (articolo 104 del regolamento del Senato: “Se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera, salva la votazione finale. Nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati”). Se l’emendabilità non sarà consentita per la minoranza del Pd sarà più difficile fare muro contro il segretario del Pd. In caso contrario Renzi avrà qualche problema in più a trovare, al Senato, una maggioranza sulla riforma (i numeri ballano e quota 158 al momento è lontana, causa dissidenza prevista di una ventina di senatori del Pd). La decisione finale sull’emendabilità sarà non del presidente della Repubblica ma del presidente del Senato. E quando Mattarella, dopo l’estate, incontrerà Grasso avrà dunque ancora più elementi utili per capire quale sarà non tanto il destino di questa legislatura ma quanto – è il ragionamento del Quirinale – il destino di questa maggioranza di governo. Perché tutto probabilmente funzionerà e il governo non avrà problemi. Ma se per una ragione o un’altra la maggioranza dovesse sfaldarsi, il presidente della Repubblica non si farà trovare impreparato. E in un modo o in un altro eviterà che ci siano acrobazie che possano portare a far crollare questa delicata legislatura.
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