Renzi e la sinistra. Il divorzio dell’estate spiegato con gli Ogm e il pomodoro San Marzano
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Che diavolo c’entrano gli Ogm con Renzi, con il governo e con il Pd? C’entrano, eccome se c’entrano. La guida spirituale dell’opposizione al renzismo somiglia sempre di più a un mix tra Carlin Petrini e Vandana Shiva
Gianni Cuperlo, Nichi Vendola e Pippo Civati (foto LaPresse)
di Claudio Cerasa | 16 Agosto 2015 ore 14:00 Foglio
A voler osservare con attenzione il divorzio dell’estate, il grande scazzo di questo ferragosto, il vero litigio che meriterebbe le prime pagine dei rotocalchi, e a voler capire qualcosa di più profondo su quello che sta succedendo tra la sinistra renziana e la sinistra del Pd, c’è un filo sottile che si dovrebbe seguire e che da solo ci può aiutare a comprendere con precisione cosa c’è dietro la grande battaglia (anche culturale) che si sta combattendo tra le fila del governo e ovviamente anche tra le fila del Partito democratico. Il punto è semplice e lineare: non si può capire cosa sta succedendo nella sinistra italiana se non si capisce cosa sta succedendo in Italia attorno al tema degli Ogm.
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Perché sulle riforme costituzionali la minoranza pd ha perso un'occasione Che diavolo c’entrano gli Ogm con Renzi, con il governo e con il Pd? C’entrano, eccome se c’entrano. Da molti punti di vista, infatti, osservando le argomentazioni con cui la sinistra del Pd con il suo coté intellettuale di riferimento accusa il presidente del Consiglio di aver schiacciato il pulsante irreversibile della mutazione genetica del Pd, la guida spirituale dell’opposizione al renzismo somiglia sempre di più a un mix tra Carlin Petrini e Vandana Shiva. E non è un caso che la minoranza del Pd si ritrovi spesso a criticare il segretario del suo partito con le stesse parole con cui la sinistra benecomunista da anni prova a dimostrare che nel mondo dell’agricoltura le mutazioni genetiche non sono un fenomeno naturale e inevitabile, ma sono un male irreversibile che costituisce un’aggressione intollerabile alla grande tradizione del nostro paese e un inaccettabile allontanamento dal formidabile eden del chilometro zero. Chi ha un minimo di passione per il mondo dell’agroalimentare sa perfettamente che l’Agricoltore Collettivo ha molti punti di contatto con il Progressista Collettivo. Entrambi sostengono che innovare troppo significhi allontanarsi in modo orrendo dalle tradizioni, e dunque di conseguenza tradire la propria storia. Entrambi sostengono che sia meglio perdere la sfida della globalizzazione piuttosto che perdere i propri valori. Entrambi pensano che non si debba diventare grandi a tutti i costi e che in alcuni casi sia preferibile coltivare il proprio orticello in nome del magnifico mantra carlinpetriniano del piccolo uguale bello. Entrambi infine cadono spesso nello stesso paradosso, di chi cioè vieta la coltivazione di prodotti geneticamente modificati salvo poi farsi beccare a importare di nascosto eccellenze transgeniche (i campioni della lotta contro l’uomo solo al comando che impazziscono per le liste elettorali in franchising, do you remember l’altra Europa con Tsipras?, valgono quanto gli anti Ogm che poi di nascosto, ops, acquistano soia e mais geneticamente modificati).
Il fatto che la sinistra anti Ogm sia grosso modo la stessa forza culturale che combatte in modo energico per scongiurare la mutazione genetica del Pd lo si spiega anche con altri dettagli che solo apparentemente possono apparire secondari. C’entra ovviamente qui la parabola del benecomunismo, almeno in parte. C’entra un’involontaria spinta al conservatorismo, se si vuole. C’entra però soprattutto la tendenza a non capire quando alcuni prodotti tipici nazionali hanno un urgente bisogno di un’innovazione che non può che essere ottenuta, spesso, tramite mutazioni estreme. Il carlinpetrinismo, da questo punto di vista, è una deriva culturale che delle volte porta a considerare estraneo tutto ciò che riguarda la scoperta di un nuovo confine e che può portare persino a considerare nocivo tutto ciò che riguarda la riscrittura del proprio codice genetico (e non è certo un caso che nel 2007 il capo di Slow Food venne scelto come uno dei 45 padri fondatori del Pd). L’idea di fondo, se ci si pensa bene, è poi sempre la stessa, ovvero la teoria che nel passato ci sia stata un’indefinibile età dell’oro (ma quando, ma dove?) dalla quale oggi sarebbe un’eresia allontanarsi.
La storia del pomodoro di San Marzano, volendo, è un buon esempio per inquadrare meglio il fenomeno di cui stiamo parlando e per capire fino a dove può portare il terrore per le sperimentazioni. Il San Marzano, come si sa, è una magnifica varietà di pomodoro la cui esistenza è da tempo messa a rischio, in Italia, a causa di una serie di batteri che periodicamente attaccano la pianta. Rispetto a questi virus esistono alcuni geni che sono stati già isolati e che in teoria sarebbero resistenti alle fitopatie: bisognerebbe solo provarli. Ma pur di non tradire la tradizione, e dunque pur di non perdere se stessa, l’Italia anti Ogm è disposta a perdersi anche i pomodori di San Marzano e a comprarli dall’estero.
Ora. Nessuno può dire con certezza se il renzismo sia un gene capace a priori di guarire la sinistra San Marzano. Ma la storia ci insegna che in tutto il mondo, nella politica così come nell’agricoltura, sono spesso i prodotti geneticamente modificati quelli che aiutano a proteggere la tradizione di un prodotto (e mai come in questa fase storica alla sinistra e forse al paese serve eccome una leadership forte e diversa da quelle tradizionali espresse negli ultimi vent’anni dai partiti di sinistra). E più che ragionare sul fatto che il renzismo possa fare bene o male alla sinistra il punto qui è diverso e appare più semplice: finché Vandana Shiva sarà il capo della minoranza del Pd la sinistra italiana anti sperimentazioni difficilmente riuscirà a salvarsi da quella che potremmo definire la drammatica sindrome slow foot.
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