Mattarella e quel ruolo di argine contro le tentazioni renziane di voto anticipato
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Dopo il discorso del presidente della Repubblica alla cerimonia del Ventaglio si è riaperto il tema dei temi ovvero chi abbia davvero le chiavi della legislatura
Mattarella Renzi foto Lapress
di Alessandra Sardoni | 03 Agosto 2015 ore 11:26
Roma. "Meno male che non abbiamo mai mollato sull’accorpamento dei ruoli, premier e segretario del partito. Per Matteo essere contemporaneamente l’uno e l’altro è l’unica assicurazione sulla vita”. Con minimi margini di approssimazione è questo, a sentire i fedelissimi, l’enunciato più illuminante e significativo rispetto allo stato di salute della leadership renziana nei giorni degli scivoloni parlamentari. La questione, solo apparentemente politologica, è in realtà molto pragmatica e addirittura autodifensiva specie nel corollario che suona così: “In caso di crisi di governo, alle consultazioni ci andrebbe Renzi…”. Difficile stabilire se si tratti di autorassicurazioni o minacce. Di sicuro queste parole, improvvisamente ricorrenti, sono il segno che nelle ultime ore, nel combinato disposto tra il discorso di Sergio Mattarella alla cerimonia del Ventaglio e le evocazioni del voto anticipato a cura di Maria Elena Boschi e Roberto Giachetti, si è riaperto il tema dei temi ovvero chi abbia davvero le chiavi della legislatura. Se Renzi sia tuttora in grado, qualora ne fosse convinto, di andare al voto prima del 2018. E di conseguenza se sia ancora pienamente in possesso di questo fondamentale strumento di pressione nei confronti dei gruppi parlamentari e delle minoranze del suo partito. E ancora se veterodemocristianamente parlando, i rapporti di forza tra Palazzo Chigi e il Quirinale siano gli stessi degli esordi o se le strategie di logoramento e anche qualche errore politico abbiano avuto il loro effetto sulle mosse a disposizione di Renzi. E che proprio in ragione di possibili mutamenti dei rapporti di forza il capo dello stato abbia detto quello che ha detto e presentarsi come si è presentato, “né Saragat né Napolitano”, nel riassunto degli osservatori di lungo corso.
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Visto dal Transatlantico, con gli occhi e le orecchie di coloro che si rappresentano come gli interpreti autentici del pensiero del capo dello stato ovvero i franceschiniani (che oggi si sentono più in auge avendo guadagnato per il fedelissimo di Mattarella, Francesco Garofani, la presidenza della commissione Difesa della camera) la situazione è cambiata rispetto a qualche mese fa. “Per la prima volta dalla sua elezione Mattarella ha voluto tracciare il profilo politico dell’intero settennato dunque oltre i confini della legislatura, soprattutto ha voluto separare governo e legislatura”, spiega al Foglio un autorevole esponente del fronte di cui sopra che preferisce non essere citato. Cita il passaggio in cui il presidente della Repubblica definisce le riforme “uno dei punti cruciali e nevralgici della legislatura”. Della legislatura, “non del governo, riporta il tutto al parlamento”, insiste. Nel puntiglioso richiamo al rispetto delle diverse funzioni e competenze, nella diffidenza esplicita per “l’uomo solo al comando”, è del resto opinione consolidata che si siano visti i paletti tanto attesi dalle minoranze interne e in generale dal variegato fronte antirenziano. “Mattarella ha fatto capire che non sarà notaio, che la sua modalità potrà essere felpata, che terrà un profilo basso, ma che, in caso di crisi, sarà lui a gestire i passaggi, in autonomia”, scandivano per lo più i post democristiani a Montecitorio.
Ragionamenti, sussurri, che Palazzo Chigi ha voluto ricondurre a una dimensione di “ovvietà”, di ribadita fedeltà ai dettami della Costituzione, ma che nelle file della minoranza provocavano un’obiezione: se è un’ovvietà perché ribadirla in un discorso che poteva prendere altre direzioni? E’ precisamente la tesi dell’ovvietà a essere smontata dalla lettura dei franceschiniani diventati renziani – il ministro della Cultura ha sciolto la sua corrente – ma comunque culturalmente e biograficamente lontani dai mondi fiorentini e leopoldini: “Mattarella si riserva la libertà di decidere, nulla è scontato”, è il senso. Cui si aggrappano le minoranze interne al Pd per le quali disarmare Renzi dell’opzione elettorale sarebbe il principale vantaggio. “Il Senato ha i numeri, le polemiche si risolvono nel Pd non in Aula”, ha detto il premier segretario particolarmente attento, nella conferenza stampa di venerdì post Consiglio dei ministri, al doppio ruolo.
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