Intervista. Polillo: «Pd-banche, attrazione fatale E D'Alema c'entra»
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«Si segni i nomi di questi due illustri pugliesi d’origine e toscani d’adozione: Silvano Andriani e Vincenzo De Bustis
Marco Iasevoli 3.8.2015 L’Avvenire.
«Si segni i nomi di questi due illustri pugliesi d’origine e toscani d’adozione: Silvano Andriani e Vincenzo De Bustis. Attraverso le loro storie è possibile rintracciare il filo rosso che lega in modo organico, e non solo attraverso la componente senese, il Pci e i suoi eredi al Monte dei Paschi di Siena». Gianfranco Polillo è diventato sottosegretario all’Economia del governo Monti come tecnico di area centrodestra. Ma nella sua giovinezza c’è un intenso passaggio nel Cespe, il Centro studi di politica economica del Pci presieduto da Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano ed Eugenio Peggio. «So di cosa parlo – vuota ora il sacco –, ho visto sotto i miei occhi diluirsi la "senesità" del Monte e crescere la presenza della segreteria nazionale, la commistione con il partito nazionale. È un’anomalia da sanare, come ora ben si vede...».
Allora, racconti...
Partiamo da Silvano Andriani. Arrivò nel Pci dopo lo scioglimento del Psiup, fu subito inserito come direttore del Cespe. È stato poi senatore, quindi membro della direzione nazionale Pds. Allo stesso tempo, ha ricoperto e ricopre ruoli amministrativi di primo piano nel Monte. È l’uomo che ha rotto la barriera, che ha aperto la breccia perché la segreteria nazionale del partito entrasse a piene mani nelle nomine e nelle strategie.
Come fa a dirlo?
Attraverso, ad esempio, la storia della Banca del Salento, poi divenuta Banca 121. In pratica l’antefatto dell’acquisizione scellerata e sovrastimata di Antonveneta.
Spieghi...
Il direttore generale all’epoca era Vincenzo De Bustis, ora al vertice della Banca popolare di Bari. Lui ebbe l’idea di trasformare una banca locale in una banca all’avanguardia nel trading on line. Vendeva prodotti finanziari in principio molto allettanti e redditizi, ma poi, con il crollo delle Borse, rivelatisi un boomerang, una truffa, per risparmiatori e pensionati.
Mi sfugge ancora il nesso con la politica...
Per la truffa furono sanzionati, tra i tanti, sia De Bustis sia Andriani. Ma, stranamente, Banca 121 fu comprata da Mps almeno al doppio del suo valore. Siena che si interessa del Salento, difficile da spiegarsi... E De Bustis, ulteriore stranezza, fu premiato con la nomina per una breve stagione come direttore generale a Siena: l’acquisito che va a comandare l’acquirente, credo un caso unico nella storia della finanza. Ho tanti motivi per ritenere che operazioni del genere potessero avere solo una matrice politica e una strategia nazionale che andava molto oltre Siena.
Sia più preciso: a chi si riferisce?
L’anno di riferimento di questa vicenda è il 1999, premier Massimo D’Alema. Lo stesso anno in cui Mps acquisisce la Banca agricola mantovana, nel cui Cda sedevano Colaninno, Gnutti, Fiorani, Consorte... Gli uomini della scalata Telecom, e poi - con Colaninno che si fa da parte - del caso Unipol-Bnl. L’anno in cui Guido Rossi definì Palazzo Chigi «l’unica <+corsivo>merchant bank<+tondo> dove non si parla inglese».
Il tutto potrebbe essere facilmente archiviato come ipotesi, comunque legate al passato e non al presente.
Certo, è legittimo. Però un dato c’è. Nella stagione che le sto ricostruendo, esattamente nel 1997, lo strappo tra il Pds senese e quello nazionale, segretario ancora Massimo D’Alema, si consuma pubblicamente. E come presidente del Monte viene indicato un nome terzo e di prestigio, Luigi Spaventa. Ci fu una vera e propria trattativa tra il territorio, il premier Romano Prodi, il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e D’Alema, appunto. E anche la scelta dell’avvocato calabrese Giuseppe Mussari a mio avviso rientra in dinamiche che coinvolgono il partito nazionale.
In conclusione?
C’è un’attrazione fatale degli ex comunisti per le banche. Negarla è impossibile. Ormai è storia.
Non crede che l’eccessiva politicizzazione della vicenda stia avvelenando i pozzi?
Non è questo il mio intento. Se così vengo percepito, correggo il tiro. Sto parlando di una vicenda specifica sulla quale mi pare ci siano troppe omissioni di una parte politica. Ma il problema è più generale, riguarda il nodo dell’indipendenza del <+corsivo>management<+tondo> bancario da ogni gioco di potere. In questo senso, credo che Alessandro Profumo stia dando un grosso esempio. Qualcuno forse pensava di poterlo controllare. Ma lui, fedele all’idea per cui un <+corsivo>top manager<+tondo> deve essere valutato solo dai soci, ha preso le carte segrete e le ha portate in procura. Questo stile personale deve diventare regola comune.
Torniamo all’attualità. Come valuta le polemiche - presunte o reali - tra Tesoro e Bankitalia e intorno ai Monti-bond?
Intanto mi stupiscono le parole di Tremonti circa il fatto che i Monti-bond non sarebbero stati discussi dal Parlamento perché inseriti nella legge di stabilità. Quella legge è stata riscritta dalla testa ai piedi, e quasi nessuno ha alzato la voce contro il prestito a Siena. Anche la Lega in aula ha espresso preoccupazione per il futuro della banca. Quanto a Bankitalia e Tesoro, è un caso montato, c’è da tempo comune e condivisa consapevolezza delle debolezze patrimoniali di Mps. Consapevolezza che era anche del precedente governo, e infatti si è agito in piena continuità.
Il messaggio che sta passando è che Monti ha dirottato parte dei soldi dell’Imu per salvare una banca...
Questo è un messaggio pericoloso. Lo Stato ha il dovere di intervenire in casi del genere. E il modo in cui si sta per intervenire è vantaggioso, perché i tassi d’interesse sul prestito sono alti. Direi che questa associazione Imu-Mps vada sottratta alla campagna elettorale per buon senso. E il Pd potrebbe riprendere tra le mani le redini di una situazione sfuggita di mano non negando le responsabilità, ma mettendosi alla testa di chi reclama la depoliticizzazione definitiva del sistema bancario.
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