Rai, cda e total war.Chi vince e chi perde nella vera partita a Risiko,
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ovvero il voto per la commissione di Vigilanza Rai
di Mario Sechi | 01 Agosto 2015 ore 06:15
A’ riforma? Che riforma? A’ Rai? Qui nun succede proprio gnente. Sechi, fatte un tuffo ar mare e nu’ rompe. Io me ne sto anna’ a Sabbaudia”. Clic. La riforma della Rai votata ieri dal Senato in Viale Mazzini passerà alla storia come la temperatura di Helsinki sulla tv degli anni Settanta: non pervenuta. La Rai è il sismografo del paese, registra ogni singulto e fremito, si adatta, si divide e compatta in formazioni e deformazioni di potere. Stavolta impera il “gnente”. In realtà la strana calma piatta che regna non è frutto di un miracoloso esercizio zen, ma ha una ragione. Quella votata da Palazzo Madama non è una riforma, ma un trenino con due vagoni: il primo trasporta le modifiche ai criteri di nomina del consiglio d’amministrazione e disegna le figure chiave dell’azienda; il secondo ha in carico la delega al governo per fare una riforma a largo raggio (ma ricordo che ha perso il pezzo fondamentale del canone) del sistema televisivo. Il primo vagone ha un carico importante (altamente infiammabile nel brevissimo periodo), ma limitato al perimetro della governance dell’azienda; il secondo vagone trasporta il materiale prezioso ma gli effetti si vedranno tra tre anni, quando la riforma (quella vera) sarà in vigore. Tre anni per la Rai sono considerati un tempo biblico, c’è tempo per riassestarsi, aggiustare il tiro, sbagliare o azzeccare tutto.
In realtà, rispetto alla riforma votata dal Senato, un primo sbandamento c’è: il testo è di soli sei articoli e due terzi del contenuto illustrativo e normativo della legge riguardano il cda, cioè l’organo che verrà eletto con la vecchia legge Gasparri. Una contraddizione che in realtà è una precisa – e legittima – scelta “politica” di accordo tra partiti e “transizione forzata” verso un nuovo sistema da disegnare. Per il momento cambia poco, ci saranno una serie di poteri che saranno trasferiti all’attuale direttore generale. Il gioco del nuovo cda passa in commissione di Vigilanza e qui è importante guardare gli assetti, i numeri, le alleanze. La commissione è composta da 40 membri, 20 senatori e 20 deputati. La mappa è la seguente: 16 sono del Pd, 7 di Forza Italia, 6 del Movimento 5 stelle, 2 di Ncd, 2 del gruppo misto e i restanti 7 sono figli di sigle più o meno aggregabili a Pd e Forza Italia, a seconda della convenienza e dell’umore del momento. Con questi numeri, per eleggere un consigliere nel cda Rai servono 6 voti. Il primo risultato è che i grillini strillano, ma in realtà avranno per la prima volta un loro rappresentante al settimo piano di Viale Mazzini. Il Pd può piazzare 3 consiglieri agevolmente e giocarsi il quarto a Risiko. Forza Italia ne ha uno certo, e per averne un secondo dovrebbe pescare voti dal Pd o dagli altri in disordine sparso. Sembra facile, ma qui siamo nel campo della total war. Machiavelli docet. Andiamo avanti: i voti di Ncd servono al Pd per eleggere il terzo consigliere. Ncd a sua volta si sente sottorappresentato in Vigilanza e punta a un posto nel cda. E’ fatta! Macché, fermi tutti, entra in campo quella che un esperto del settore chiama “scienza dei resti”. I due del gruppo misto (Pino Pisicchio e Maurizio Rossi) chi voteranno? Bruno Molea (Scelta civica) e Federico Fauttilli (Centro democratico) staranno a sinistra? A destra? Al centro? Non è finita, prendete l’aspirina e il generatore (semi)automatico di combinazioni per il cda Rai. Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) dove stazionerà? Il verdiniano Antonio Scavone suggellerà l’appoggio a Renzi anche sul tema catodico? O avrà un richiamo della foresta di Silvioland? Nicola Fratoianni di Sel che maglia vestirà? Il socialista Enrico Buemi farà il gioco del Pd? Sembra di stare sulla strada polverosa di Tombstone, tutti con la pistola calda. In una storia così arroventata non può mancare un Jonny. E’ il leghista Jonny Crosio, senza l’acca nel nome, ma con un voto nella fondina.
L’appuntamento è il 4 agosto nello stradone polveroso della commissione di Vigilanza. La teoria suggerisce lo schema 4-2-1, quattro consiglieri al Pd, 2 a Forza Italia e 1 al M5s, ma la partita è sottile, da biliardo: calma e gesso. Fatto il cda, si procede con la nomina del presidente, dove servono i due terzi dei voti. E alla fine di questo pazzo giro di giostra, patto o no, dal campo centrale esce un NazaRai giocato di dritto e di rovescio, con volée finale sotto rete. E la televisione? I programmi? L’editoria, quello che va in onda, la riforma, dove sono? Renzi dixit: “Il nostro modello è la Bbc”. Bene, c’è altro materiale per il prossimo articolo. Non cambiate canale, il Foglio è in onda.
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