Si processano i reati, non la politica
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“Ci spiace, non si mette sotto controllo l’attività parlamentare”. Niente arresto per Antonio Azzollini e sacrosanto ceffone del Senato alla procura di Trani. Cronaca di uno scontro culturale che colpisce l’identità del Pd
di Maurizio Crippa | 29 Luglio 2015 ore 20:48 Foglio
Milano. L’estetica non fa politica. Altrimenti il senatore Antonio Azzollini, che al voto del Senato ha fatto tanto di lingua come Miley Cyrus, più che l’autorizzazione all’arresto si meriterebbe di essere inseguito con le frecce da un dentista di Trani, come il leone Cecil. Ma la politica non è estetica. Altrimenti tutta quella banda di mozzorecchi con la bava alla bocca che si è scatenata dopo il voto dell’Aula che ha detto no alla procura e ha pure smentito la giunta per le Autorizzazioni (189 contrari, 96 favorevoli e 17 astenuti) andrebbe buttata in un tracimante cassonetto dell’Ama fuori da Palazzo Madama. In ordine di indecenza: “Una vergogna. Si è voluto salvare uno della casta”, Felice Casson, senatore del Pd (uscito dal gruppo). “Che tristezza. E’ nato il governo Renzi-Verdini-Azzollini”, Nichi Vendola. “Mi fanno schifo. Ieri tagliano due miliardi alla Sanità. Oggi salvano chi specula sulla nostra salute”, Luigi Di Maio del direttorio Cinque stelle, nonché vicepresidente della Camera. “Renzi e il Pd hanno calato le braghe per salvare le loro poltrone, che pena”, Matteo Salvini. Poi ci sono quelli cui la lingua corre veloce, rilevatrice di cattivi pensieri. Maria Edera Spadoni, grillina: “Come è possibile che una maggioranza del genere ha deciso a voto segreto di non aiutare la magistratura?”. Già, com’è possibile? Compito della politica non è aiutarla, la magistratura? Chiedere a Montesquieu. O la senatrice dem Lucrezia Ricchiuti: “Non c’è nulla nelle carte che faccia pensare che i magistrati siano in malafede o che non abbiano rispettato la legge…”. No, proprio nulla. Ma per lei il problema è “l’immagine che diamo al nostro elettorato”. La gazzarra di insulsaggini seguita alla libera decisione del Senato che ha negato l’arresto è, questa sì, un caso di malapolitica.
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Il voto che ha negato l’arresto del più volte presidente della commissione Bilancio (ora dimessosi) ed esponente di Ncd è invece forse un caso di buona politica. Perché il Senato non s’è piegato al primo brogliaccio spedito da una procura. Ma soprattutto perché bastava dare una sbirciata alle carte. Carte in cui il gip Rossella Volpe scrive: “La circostanza che Azzollini, a differenza degli amministratori ufficiali dell’Ente, non abbia agito per interessi di natura economica… non impedisce di considerarlo componente dell’associazione a delinquere”. Non impedisce nemmeno di considerarlo un marziano, se è per questo. Si legge di “colpo di stato”, di “un feudo dominato dal senatore”. Fumus persecutionis? Più che altro, fumus. Della famosa frase sulla minzione dadaista rivolta a una suora non si trova conferma, è un puro “relata refero” relativo al 2006 o al 2007. Sufficiente per arrestare un senatore?
Il senatore pd Pietro Ichino, dopo aver precisato di avere in altri casi votato a favore dell’arresto di colleghi, ha spiegato per tabulas sul suo sito internet perché in questo caso non l’ha fatto: perché circa l’accusa di “avere operato come ‘amministratore occulto’ di una Congregazione religiosa… ho trovato negli atti giudiziari elementi di prova che definire evanescenti è dire poco”. Perché persino il gip “riconosce esplicitamente l’assenza di qualsiasi lucro patrimoniale” dell’imputato. Perché l’unico movente sarebbero vaghi “interessi di tipo personale e politico”. E soprattutto perché “l’altro comportamento che viene imputato al senatore Azzollini consiste nell’essersi adoperato in Senato per l’approvazione di esenzioni fiscali delle quali la Congregazione stessa avrebbe beneficiato”. Cioè un atto politico. Insomma non c’è nulla che giustifichi l’arresto, e auguriamoci che qualcosa giustifichi l’inchiesta. Ma quella, come ha detto Renato Schifani, può benissimo andare avanti.
Un giorno da festeggiare, dunque, in cui il Parlamento ha dimostrato di saper difendere le sue prerogative (non “la casta”), anche in assenza dell’immunità che non esiste più, giudicando nel merito e non sotto la pressione degli ululati in Aula e di quelli a mezzo stampa. Ma prima di festeggiare, bisogna prendere nota di alcune cose. Ad esempio che la storia recente dei voti sulla richiesta d’arresto per parlamentari è assai ballerina e raramente risponde alle logiche della pura “scelta di coscienza”. Le decisioni sui senatori Luigi Lusi (sì) o Sergio De Gregorio (no), Alberto Tedesco (no) o il deputato Alfonso Papa (sì) raccontano anche il peso delle convenienze politiche. Ma nel caso di Azzollini la verità è che tali convenienze, se ci sono, pesano meno. La senatrice Ricchiuti s’è chiesta, retoricamente: “Che cosa è successo da quando in Giunta il nostro gruppo, che aveva letto le carte, ha votato a favore degli arresti domiciliari ad oggi? Cosa è cambiato?”, indicando come unica lecita risposta i nuovi assetti di maggioranza. Claudio Tito, su Repubblica Tv, ha parlato di un “testacoda del Pd” nel tentativo di dimostrare la propria indipendenza dalla magistratura (un male?). Non è così. Riprendendo Ichino – con cui forse dovrebbe farsi una chiacchierata la democratica a cinque stelle Debora Serracchiani, governatore del Friuli Venezia Giulia e vicesegretario del Pd, che probabilmente senza aver letto un solo stralcio delle carte ha sentenziato, per non indispettire il popolo del web, che sul voto al Senato il Pd dovrebbe scusarsi – l’aspetto politicamente rilevante è che nell’impianto accusatorio c’era una “pretesa di mettere sotto controllo l’attività parlamentare”, fino all’anomalia “di un capo d’accusa che ha per oggetto principale l’attività legislativa di un parlamentare e che indica come movente del preteso delitto il puro e semplice interesse politico-elettorale del parlamentare stesso”. Se il Senato ha preso atto di questo, cioè della politica, allora è un bel giorno.
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