La boiata della coalizione di Landini
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Il club della fuffa e la storia da sballo dei rivoluzionari alle vongole
di Giuliano Ferrara | 04 Giugno 2015 ore 19:20 F.
La Fiom ha fallito negli scioperi, il sistema produttivo e industriale si è ristrutturato (o è fuggito, come dice il capo dei coalizionisti) senza che i sindacati, fuggiti loro sì nella gabbia televisiva dell’antipolitica, conquistassero un peso contrattuale serio; quel po’ di reddito e di lavoro stanno arrivando dalle scelte di movimento del governo e della Bce di Draghi. E in questa situazione facciamo un girotondo con Rodotà e Flores d’Arcais e il club dei miliardari liberi e giusti? Ma via.
Landini mi è simpatico, viene da quell’Italia lì che è simpatica e basta, non c’è che dire. E la maglietta della salute in bella vista, la sua griffe originaria insieme con la voce tonitruante, è meno untuosa e stylish della felpa con la ruspa, roba da parvenu, da fashion victim. Ma l’idea della coalizione sociale, “che non è un partito” (insiste il suo creatore), mi sembra una boiata, legittima, anche comprensibile per passare il tempo, nondimeno una boiata. Se poi sia anche una truffa politicista, questo lo vedremo presto.
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Landini è convinto che il suo mestiere non abbia futuro né un solido presente. E allora prova con un sindacalismo televisivo e parapolitico. Prova con i referendum abrogativi. Prova con alleanze e strutture associative diverse dal sindacato di mestiere, un arcipelago estraneo o addirittura ostile a quello confederale. Non lo sfiora l’idea che in tutto il mondo, dove fioccano anche lì le lettere della Bce e l’influenza degli gnomi di Wall Street e di potenti establishment elitari, i sindacati contrattano salario e condizioni di lavoro, cogestiscono le aziende, un mestieraccio ce l’hanno, una influenza la esercitano, e non si occupano troppo di politica, la loro coalizione sociale è nelle cose prima che nei sogni.
Vabbè. Quest’idea di sostituire un sindacato con un club potrebbe essere addirittura una prova di fantasia e di buona ingegneria sociale, perché no? Il 6 e il 7 giugno si fa la prova della prova. Staremo a vedere. C’è una rilevante novità, il professor Rodotà (tà-tà) impegnato a difesa della democrazia contro l’uomo solo al comando. Il governo Renzi non è emendabile, dicono. Alludono al fatto che non basta l’opposizione interna del Pd, e mettono in giro telefonate nervose di Stefano Fassina (auguri). Il governo è a pezzi, dicono. Alludono a questo quarto di pollo di regionali, al controfiletto delle astensioni, tutti lacerti di macelleria politica molto opinabili nella prospettiva italiana e in Europa, verso il limite possibile del 2018 o, se preferite, verso elezioni anticipate. Incombe in questo secondo caso la parola d’ordine della #voltabbbuona e della prova del fuoco di una generazione politica piena di difetti ma radicalmente nuova, una cosuccia che a uscire dall’attenzione preoccupata degli elettori ci metterà almeno un paio di minuti (e una tornata elettorale vera). Non tutto si può fare al ritmo di rap trotzkista proposto dalla banda di MicroMega e da altri tsipiotri o podemos alle vongole, che suggeriscono il modo di liquidare l’usurpatore del momento (ce n’è sempre uno) in tre velocissimi step.
Tra socialità della coalizione senza idee e politicità sgarrupata dell’evento, immagino quei pochi o molti non renziani che intendono continuare a fare politica e hanno una nozione non banale della Ditta, intesa come Pd, e sanno che in Europa e nei sistemi democratici complessi, in un paese serio e in una situazione seria, c’è bisogno di soggetti sensati muniti di progetti credibili di governo, magari con un po’ più di socialità militante nel sangue, non di altre piccole avventure alla Casaleggio Di Battista Di Maio. Forse una coalizione di persone di senso comune sarebbe a sinistra l’antidoto a cavalcate irruente verso nuove implacabili sconfitte. Chissà.
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