Ri-Mafia capitale
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Riecco la banda di ladri di polli presentata come male assoluto. Ma per favore, siamo a Roma…
di Nicoletta Tiliacos | 04 Giugno 2015 ore 19:35 Foglio
Eccola di nuovo, “Mafia capitale”, che si riaffaccia ormai con cadenza semestrale – diventerà forse una simpatica consuetudine a ogni solstizio – con tante nuove notizie che assomigliano incredibilmente alle notizie vecchie. Quarantaquattro arresti, come i gatti dello Zecchino d’oro, molte conferme e qualche new entry, vuoi in casa della maggioranza vuoi in quella dell’opposizione. Gente che va e gente che viene, consiglieri comunali, assessori e funzionari divisi tra arresti domiciliari e gabbio vero e proprio (per i non romani: galera), mentre il sindaco proclama ancora una volta che “non lascia”, ché il giuramento di Ipopocrate sarà pure la vera scelta della sua vita (lo aveva detto appena due giorni fa a una platea di studenti e insegnanti) ma la battaglia per legalità a Roma ha ancora e più che mai bisogno di lui. Stavolta, tuttavia, la città già intontita dal caldo sembra un po’ meno reattiva rispetto a dicembre, quando l’esplodere dello scandalo riguardante la banda intitolata a Buzzi, Carminati & C. e ammanicata con svariati esponenti politici sembrò per qualche settimana assommare in sé l’alfa e l’omega di ogni turpitudine, non solo cittadina ma nazionale. Era il male assoluto, ci dissero, cresciuto all’ombra del Fungo dell’Eur o dell’ormai celeberrimo distributore Eni di via Cassia.
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I romani, a dire il vero, al rilievo planetario di quel pidocchioso “mondo di mezzo”, un euro di cresta a profugo e passa la paura, non hanno mai dato peso più di tanto, nonostante giornaloni e televisioni ce l’abbiano messa davvero tutta per convincerli che, tapini, vivevano come a Chicago negli anni Trenta e non se ne erano mai accorti. Non perché le faccende rivelate dall’inchiesta in sé facciano piacere – ci mancherebbe altro – ma per l’abitudine romana a fare la tara (non la cresta) su tutto ciò che si presenta – o piuttosto è presentanto – in modo troppo esagerato, magniloquente, pomposo, iperbolico. Mafia? Ma de che… Roma è la città dei “giorni miti e increduli”, come scriveva Edgardo Bartoli, e l’incredulità è rifugio obbligato, per chi ha dietro di sé millenni di promesse, millanterie, proclami e chiacchiere trasformati, prima o poi, in fumo. A Roma, dopo un po’, si crede solo a quel che si vede. Ed è già molto, perché troppe volte i Catoni tuonanti di oggi si sono trasformanti nei Buzzi e Carminati di domani. Quanto a “Mafia capitale” e al suo carrozzone di ladri e intrallazzoni, sembrerà strano e perfino meschino, ma il romano ha attualmente preoccupazioni perfino più terra terra. Se è vero che, per difendere i pellegrini del Giubileo del 1450, Papa Niccolò V fu costretto a pagare un’apposita milizia, tanti erano quelli ridotti in mutande, picchiati o direttamente ammazzati a scopo di rapina, oggi più che mai il comune utente di bus e metropolitane o il turista a spasso per il centro avrebbe bisogno che fosse presa un’analoga iniziativa.
Vorrebbe, insomma, incedere pigramente sui marciapiedi o prendere i mezzi pubblici senza doversi aggrappare forsennatamente alla borsa o allo zainetto, un po’ come fa Marino con la sua poltrona di sindaco, e come è necessario se non ci si vuol ritrovare gementi e piangenti al commissariato per denunciare la sparizione di soldi e documenti. Sono queste, ahinoi, le cose che mettono di malumore i romani, mentre la compagnia di giro di “Mafia capitale” – potrà sembrare mostruoso ma è così – più che allarme e malumore provoca il gioviale scambio di banali ma sempreverdi chiacchiere sulla fragilità dell’animo umano, sulla seduzione della pecunia, sulla carne che sarà pure debole ma si accontenta davvero di poco.
Nicoletta Tiliacos
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