Tesoro, mi si è ristretta la rottamazione
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Al netto degli sbadigli, Renzi vince le regionali, ma non con i suoi uomini: se non si occupa del partito, sarà il partito a occuparsi di lui (ahilui). Il Cav. ringrazi Pippo il kamikaze, Grillo ancora zeru tituli, il resto è noia
di Claudio Cerasa | 01 Giugno 2015 ore 15:09 Foglio
Le cose sono più semplici di come sembrano e anche alla luce dei risultati delle elezioni regionali non bisogna farsi incantare dai dettaglismi e bisogna guardare alla sostanza. E la sostanza, provando ad allargare l’obiettivo della nostra cinepresa, ci dice che Renzi, nel suo momento di massima difficoltà, con i pensionati furiosi, gli insegnanti incazzati, la luna di miele finita, le riforme fatte a strappi, la sinistra interna indemoniata, una mini scissione in corso, un Senato che non si controlla, una minoranza che non gli vota la fiducia e un partito governato semplicemente con un paio di messaggi a settimana su Whatsapp, vince nonostante tutto, e vince nonostante il suo Pd abbia perso lo smalto e la forza oggettiva che aveva lo scorso anno alle Europee. Questa è la sostanza delle cose e un minuto dopo il risultato delle regionali possiamo dire che le questioni che erano aperte fino a qualche giorno fa restano tali ancora oggi per il presidente del Consiglio: senza un accordo strategico, istituzionale e costituzionale su alcuni punti programmatici con Forza Italia, o con quel che sarà, il Partito della Nazione sarà costretto a galleggiare in Parlamento e non potrà che rimanere ostaggio di una sinistra interna che oggi sa che una scissione dal Pd non potrà mai essere un progetto vincente (ndannamos, Civati?) ma che vede ora nella opzione della separazione una carta sufficientemente forte e minacciosa per ridimensionare il progetto renziano. E come dimostra la Liguria, dove una sinistra kamikaze munita di cintura esplosiva ha scelto di uscire dal Pd facendo perdere il Pd, una sinistra divisa di fronte a un centrodestra unito può produrre un risultato chiaro: così sì che Podemos perdere.
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Renzi dunque vince ma si ritrova con diversi problemi da affrontare e dovrà fare i conti con il fatto che non esiste una sola regione vinta in questi mesi dal suo partito che sia espressione diretta del Pd renziano e come avevamo scritto su questo giornale è un fatto che i governatori eletti in questa e nella precedente tornata elettorale abbiano tutte le caratteristiche per fare emergere con più forza una forte divisione tra il Partito della Nazione e il Partito della Regione. Catiuscia Marini, eletta in Umbria, è una non renziana (tendenza Orfini). Lo stesso vale per Enrico Rossi oggi (Toscana) e Mario Oliverio ieri (Calabria). Lo stesso vale per Michele Emiliano (Puglia), che un secondo dopo essere stato eletto, in perfetto stile Rosario Crocetta, ha proposto di allargare la sua giunta al Movimento 5 stelle (Gesù). Lo stesso, ancora, vale per Luca Ceriscioli (Marche), renziano della terza ora con un profilo simile a Stefano Bonaccini, renziano della terza ora ed ex bersaniano che appena qualche mese fa ha conquistato l’Emilia Romagna. E lo stesso, infine, vale anche per Vincenzo De Luca, un bacino al nostro eroe campano, che ha renzianamente asfaltato il suo principale avversario, la lista impresentabili guidata dalla capolista Rosy Bindi, un bacino anche a lei, ma che come tutti i governatori del nuovo granaio meridionale del Pd (tipetti su cui vale la pena tornare) è un irregolare che sta al Pd renziano più o meno quanto Raffaelle Fitto sta a David Cameron.
Ecco: se vale la pena spendere qualche parola su quel che queste elezioni vogliono dire per Matteo Renzi bisogna partire da qui. E bisogna rispondere a una domanda precisa, prima di arrivare a tutto il resto: che tipo di elezioni sono le regionali per giudicare una leadership come quella di Renzi? La verità è che ogni competizione regionale e comunale (il prossimo anno si replica a Torino, Milano, Genova, Napoli) risponde più a criteri locali che nazionali e non è certo questo il terreno su cui si può definire in modo veritiero se la leadership di Renzi funzioni ancora oppure no. Le regionali non sono elezioni paragonabili a quelle nazionali, sono elezioni in cui si misurano più i capricci e le virtù locali che quelle nazionali, e il risultato conta fino a un certo punto, da sempre, sia se le cose vanno bene sia se le cose vanno male. E dunque, per un verso o per un altro, non bisogna esagerare. Ma se c’è un dato che ci può portare a riflettere sul significato che queste elezioni hanno avuto per Renzi quel dato riguarda una tendenza sempre più chiara che riguarda qui sì la leadership espressa dal presidente del Consiglio. E su questo punto non si può essere sereni. Renzi può piacere o no, ma in questi mesi a Palazzo Chigi ha dimostrato di avere un’idea precisa di governo – un’idea che a volte funziona e a volte non funziona, ma che esiste e ha una sua direzione precisa.
Il renzismo governativo lo si riconosce a distanza, è una forma estrema di populismo riformista che tende a deideologizzare alcune questioni cruciali facendo propri temi tradizionalmente considerati di proprietà dei propri avversari, e da un certo punto di vista è una piattaforma che ha prodotto anche una classe dirigente che riflette ciò che è il profilo del presidente del Consiglio: da Maria Elena Boschi a Marianna Madia passando per Luca Lotti e Graziano Delrio, e così via. Se questa specificità esiste a livello governativo, e ha ottenuto anche qualche risultato, a livello amministrativo si può dire che il renzismo non solo è molto debole ma, al di là dei risultati, al momento ha fallito, non è pervenuto, è inesistente, ha lasciato bloccato sui binari della Leopolda il treno della rottamazione e la fatica registrata in Umbria, così come la sconfitta della Liguria, così come il flop del Veneto così come la proliferazione di candidature irregolari e in alcuni casi persino anti renziane sul territorio, è indice di un trend importante, e pericoloso, che ci porta a dire che se Renzi non si occuperà del partito sarà il partito prima o poi a occuparsi di Renzi (e saranno legnate). Se c’è dunque un segno specifico che si può cogliere da queste elezioni, per Renzi, il segno è questo.
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