Chi si gioca la faccia alle regionali
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Minoranze, maggioranze, frattaglie. Dove suona la campana del midterm
di Claudio Cerasa | 30 Maggio 2015 ore 06:18 Foglio
Potevano essere soltanto delle semplici regionali, dove ogni candidato governatore poteva rappresentare solo il suo particolare contesto politico e dove i leader dei partiti nazionali potevano evitare di trasformare il voto di sette importanti regioni in un grande midterm. La situazione, come si vede, oggi è invece molto diversa e non c’è una sola regione in cui non sia possibile indovinare una partita più grande rispetto a quella rappresentata a livello locale. I protagonisti di queste elezioni, dunque, non saranno i candidati governatori ma saranno quello che rappresentano e ogni regione, di conseguenza, ha una sua storia e una sua specificità. Per la Lega di Salvini, per dire, il Veneto coincide con la partita della vita e non ci potrà essere un progetto futuro del segretario leghista senza un successo rotondo di Luca Zaia.
Sembrano le regionali ma sono invece la conta delle minoranze in armi Nell’ottica di un centrodestra unito e più o meno competitivo rispetto al Partito della nazione, invece, le sfide più importanti sono quelle che si giocano nelle uniche due regioni in cui in campo vi è lo stesso equilibrio immaginato da Berlusconi per il futuro dei – romanticamente il Cav. continua a chiamarli così – “moderati”: Liguria e Umbria. Forza Italia, in realtà, è forse l’unico dei partiti che a questo giro non ha nulla da perdere, non avendo un solo candidato che parte con i favori del pronostico, mentre chi ha invece molto da perdere sono le minoranze di blocco che domenica proveranno a capire il livello delle proprie, per ora sfocate, ambizioni. La regione da osservare con più attenzione è la Puglia, terra dove Raffaele Fitto deve dimostrare che la sua volontà di separarsi dal percorso di Berlusconi non serve soltanto ad agevolare la vittoria degli avversari ma anche a certificare un peso specifico su cui far perno per avere uno spazio di manovra all’interno del centrodestra (ma purtroppo l’endorsement di David Cameron per il suo omologo pugliese tarda ancora ad arrivare). Accanto alla Puglia c’è poi una partita più intrecciata e scivolosa che è quella del nuovo centro che crede di avere uno spazio nell’èra in cui se c’è una cosa che si può dire con certezza è che il centro, ahiloro, non esiste più. La sfida esiste e passa per due regioni dove Alfano e compagnia proveranno a pesare le loro ambizioncine. La prima regione corrisponde alle Marche, dove la disinvolta candidatura dell’ex governatore di centrosinistra Gian Mario Spacca fa sì che sia questa l’unica realtà in cui Ncd può dimostrare di essere qualcosa in più della semplice Nuova costola del Pd. La seconda è invece il Veneto, ovviamente, dove il consenso che riuscirà a ottenere Flavio Tosi (sindaco ex leghista a vocazione centrista) aiuterà a capire se c’è vita nel nuovo centrino. Infine, prima di arrivare a Renzi, c’è una partita significativa che riguarda gli equilibri interni al Pd e che è quella, poco raccontata, dei due candidati rossi, gli unici che partono non da favoriti ma da strafavoriti: il candidato in Toscana Enrico Rossi, e il candidato in Umbria Catiuscia Marini. Qui la partita è vitale per uno degli alleati più importanti di Renzi, l’area di sinistra che appoggia il segretario, quella dei giovani turchi tendenza Orfini, che dovrà dimostrare che allearsi con Renzi e ingoiare molti rospetti è un’operazione che aiuta a mettere fieno in cascina. All’interno del frullatore c’è poi la sfida del Movimento 5 stelle il cui unico elemento di interesse non riguarda tanto il risultato che otterrà Grillo (se arriverà ancora tre, come sempre, ci sarà di nuovo da ridere) ma riguarda il fatto che improvvisamente il capo popolo del 5 stelle è stato costretto a dimostrare che la storia che con la democrazia digitale & associati si può ribaltare il mondo è una ciofeca. Ed è per questo che ogni sera accendendo la televisione ci ritroviamo con un grillino seduto sulle poltroncine degli stessi talk-show in cui i grillini avevano promesso che non sarebbero mai andati (il codice di comportamento del Movimento 5 stelle prescrive ancora ai parlamentari di “Evitare la partecipazione ai talk-show televisivi”, chiedere per conoscenza al grillino Marino Mastrangeli, che nel 2013 fu cacciato dal movimento per aver preso parte ad alcuni talk show televisivi).
C’è poi la sfida romantica e leggiadra dei Podemos italiani, e il terreno sul quale si misurerà il confronto sarà oggi la Liguria (con Pastorino) e domani la nuova composizione dei gruppi parlamentari (il Pd di Renzi continuerà a perdere piccoli pezzi dopo le regionali, ma a meno di sorprese la traduzione migliore della parola “Podemos”, in Italia, continuerà a essere ancora a lungo “Ndannamos”). Infine, c’è Renzi. Il presidente del Consiglio ha trasformato le regionali in un referendum sul governo anche per provare a nascondere la fine dell’èra della rottamazione ed è possibile che anche questa volta Renzi raccolga un successo buono. Succederà, probabilmente, ma le elezioni di domenica dimostreranno ancora una volta che in un’epoca in cui il Pd non ha avversari è difficile capire dove iniziano i meriti propri e dove cominciano i demeriti di chi perde. Lunedì, ovvio, il grande protagonista delle regionali sarà anche il partito dell’astensione e anche qui il gioco è facile: tutti proveranno a dimostrare di aver vinto le elezioni, ma per capire chi le ha perse davvero sarà sufficiente vedere chi con più foga invocherà come in una seduta spiritica lo spirito dell’astensionismo. Seguite quel filo e vedrete che alla fine capirete tutto.
Categoria Italia