Lettere al Direttore Il Foglio 29.5.2015
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Il Pd che vota contro se stesso, i taxi a Milano, referendum
1-Al direttore - Le questioni inerenti i rapporti etico-sociali, come li chiama la nostra Costituzione,
non pretendono posizioni definitive, opinioni rigide o convincimenti assoluti. Chi non ha un giudizio o un parere certo sui matrimoni omosessuali, non si senta solo o men che meno stolto. Semplicemente, ha l’onestà di riconoscere che ci sono vicende della vita, personale e sociale, che sono sottoposte a continue evoluzioni e che pongono interrogativi prima di dare facili risposte. Quello che spesso ci sembra naturale si rivela il frutto di sedimentazioni secolari, talmente radicate da essersi confuse con la natura delle cose. Ci sono state civiltà in cui, praticando forme di cannibalismo, nemmeno il diritto alla vita era naturale. Se dovessimo de-centralizzare l’uomo nell’ordine delle cose, come stiamo facendo anche nella cultura giuridica (si pensi ai diritti degli animali), dovremmo chiederci quanto sia innaturale l’incesto nel mondo animale non umano.
Senza bisogno di scomodare fenomeni che ci ripugnano, ci sono semplicemente cose a cui non siamo abituati, come – nel nostro piccolo mondo – la poligamia, perché nei secoli siamo cresciuti in ordini di idee e di valori precisi. Ma non definitivi.
L’accelerazione dei tempi a cui le nostre menti si stanno adeguando trasforma quella non datità in evoluzione repentina.
Considerata la tradizione del paese, il voto irlandese sul matrimonio tra omosessuali sposta ancora più nettamente questo preciso tema sui margini della relatività, piuttosto che del relativismo. Ciò che stupisce della rivendicazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è che persone per motivi culturali e sociali di norma progressiste stiano portando avanti una battaglia per l’istituto più conservatore che esista. Mentre alle persone sposate il matrimonio va talmente stretto da andar stretto pure il procedimento di divorzio, una comunità storicamente indipendente da qualsiasi catena socio-culturale vuole ora avere la possibilità di farsi stringere dalle maglie del matrimonio. Buon per essa che non dovrà un giorno battagliare per il divorzio, quando i tempi saranno maturi per raffreddare lo spirito matrimonialista.
Chi guarda queste vicende dall’esterno ha l’impressione che nella maggior parte dei sostenitori ci sia una convinzione che occorra la consacrazione di un consigliere comunale perché essi possano esprimere la loro identità e il loro legame. Storica ma per certi versi curiosa esigenza, quella per cui il senso di inclusione sociale e culturale debba passare per la legge e l’ufficiale di stato civile. E comunque più forte, sul piano emotivo, rispetto all’esigenza che siano riconosciuti i diritti connessi al matrimonio, oltre al matrimonio in sé. Eppure, è su questo secondo aspetto che si gioca tutto, comprese le categorie etico-sociali a cui ci siamo abituati. Il matrimonio è un istituto che porta con sé una serie di diritti di natura personale e patrimoniale.
Molti di questi sono già estesi alle coppie omosessuali per via giurisprudenziale o di fatto grazie al buon senso delle persone, e in attesa di un Parlamento ignavo. Sarebbe certo il caso di prendere atto, in via generale e astratta, che le decisioni sul fine vita o l’uso dell’abitazione o i diritti successori rispondono solo alla stabilità di un legame affettivo. Sembra restare una sola cosa che distingue le unioni civili, disciplinate o no con legge, dal matrimonio: i diritti/doveri sui figli. E per molti il desiderio è proprio quello della filiazione, su cui stiamo girando intorno con le discussioni sulle adozioni monoparentali e i limiti alle tecniche di fecondazione. Probabilmente arriveremo anche alla filiazione, pure attraverso queste ultime, ma l’estensione di diritti e pretese derivanti dalla garanzia di un’unione affettiva e l’estensione di un istituto giuridico molto più complesso che riguarda terzi non ancora al mondo o comunque capaci di decidere sono cose diverse. Confonderle, come anche nel dibattito seguito al referendum irlandese, e ad esempio sostenere il riconoscimento del matrimonio ma senza lo status genitoriale non aiuta a scegliere quale strada percorrere. E non aiuta a decidere se sia venuto il momento (e se mai verrà) in cui il matrimonio perda il suo connotato che credevamo naturale, ma che forse era solo consuetudinario, di “congiungimento divino” in quanto la procreazione che di essa è frutto “è ciò che di eterno e di immortale può toccare a un mortale”, per dirla con Platone.
Certo, proprio nei giorni in cui il divorzio breve si appresta a rendere inconsistente il matrimonio come istituto che riceve riconoscimento perché garantisce alla società una stabilità affettiva tale da renderlo un ammortizzatore sociale, dovremmo forse chiederci se anche questa non rischia di diventare l’ennesima rivendicazione di comprensibili desideri, senza corrispondenti impegni.
Serena Sileoni
Grazie della riflessione. Confermo quello che ho scritto: il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali è un riconoscimento esclusivamente fatto alla coppia ma non deve in alcun modo comprendere lo status genitoriale, che riguarda un diritto soggettivo di persone terze, che è il diritto di avere non un genitore A o un genitore B ma una madre e un padre. Ieri Massimo Introvigne ha detto al nostro Matteo Matzuzzi che in realtà questo non è possibile e che il passaggio è scontato. Basta prendere la sentenza “X contro Austria” del 2013 dove si afferma che una volta introdotto il matrimonio per le coppie omosessuali sarebbe impossibile vietare le adozioni, perché “sarebbe una discriminazione rispetto alle coppie eterosessuali, e quindi sarebbe necessario adeguarsi”. Interessante. Ne continueremo a parlare.
2-Al direttore - “Chi vuole aver successo deve porre le giuste domande preliminari” (Aristotele). A me pare che si stia facendo invece un po’ di confusione sui rami, senza aver lavorato come si deve sulle radici. La chiesa – per chi ci crede – dovrebbe occuparsi dei peccati, lo stato invece dei reati. Un distinguo molto caro al nostro Foglio. Secondo me alla chiesa, oltre un doveroso mea culpa per ciò che ha inflitto o contribuito a infliggere con la predicazione nei secoli agli omosessuali, resta da affrontare con franchezza il nocciolo esistenziale della questione, senza rifugiarsi in una casuistica melensa: l’amore tra persone dello stesso sesso è una malattia, una stortura del peccato, o una forma intensa e vera di amore, appunto? Quando un ragazzo o una ragazza avverte per la prima volta una trafittura, uno struggimento emozionato per una persona del suo stesso sesso, ciò va stimato come la chiesa fa per l’eterosessualità o siamo davanti a una “tendenza intrinsecamente disordinata”? Dio “fa il tifo” per due omosessuali che fanno l’amore con passione, ironia, e dedizione, oppure no? Questa è la sfida intellettuale, e anche la responsabilità storica che da laico mi sento di sottoporre alla chiesa. Come per la sessualità in generale o il consenso informato alla storia delle religioni, da questa posizione dipende molto della serenità con cui le prossime generazioni potranno camminare verso quel difficile traguardo che si chiama cercare di essere se stessi, senza inutili e talvolta micidiali fardelli invisibili. Gli omosessuali adulti che si dice vadano accolti con delicatezza e non discriminati, da ragazzini si sono sentiti giudicati, eccome. La chiesa su questi interrogativi dovrebbe avere il coraggio di dire sì, no, oppure non lo so. Allo stato tocca un altro interrogativo, a sua volta senza continuarecon queste occhiatine malcerte ad altre e più antiche istituzioni in cerca d’una rassicurante strizzatina d’occhio – la papolatria e il clericalismo parassitario di tanti laici – “il diavolo stava male, il diavolo s’è fatto frate” dicevano nel medioevo – sono scappatoie dal senso di responsabilità personale e collettiva che dovrebbero far arrossire chiunque voglia contribuire a un’etica comune. Cos’è il matrimonio civile? Cos’è che la società riconosce importante per la sua validità, la sua positività per, letteralmente, celebrarlo, da tutti i punti di vista- compreso quello simbolico, che non è dimensione da poco? La chiesa ha un problema più grande delle unioni civili: si chiama sessualità e amore. Lo stato deve invece chiedersi se questo fatto puro e semplice – l’esistenza di persone dello stesso sesso che si amano, fenomeno su cui occorre a livello scolastico e culturale un’informazione serena e equilibrata – “s’ha da fare” matrimonio, per dirla col Manzoni, confermando le leggi, i diritti e i doveri, nelle quali la comunità di oggi si riconosce. A ognuno il suo.
Edoardo Rialti
3-Al direttore - Il suo “referendum per scannarci un po’” sulle nozze gay (perché poi nozze in luogo del fatidico, e unico pur se onni-inclusivo matrimonio e, ma solo se così etichettato, specificato e preteso ossessivamente negli ordini di prenotazione che piovono da ogni mercato di destinazione degli originali?) che raccoglie contributi di grande qualità, non coglie un punto: qual è l’origine della richiesta di accesso a una tale “produzione” che viene pretesa come esclusiva? Non la socialmente paranoide “parità” che riduce ciascuno alla mezza mela platonica (ma con lo stesso numero di semi ed egualmente posizionati; così io, maschio etero o gay, dovrei pretendere di poter allattare il pargolo senza ricorso a protesi di servizio), e non la presunta indiscriminante dignità, ma la ricerca dell’originale, del tracciabile, del registrato marchio di autenticità e di garanzia del prodotto socio-confessionale che va per la maggiore da tempo immemorabile (anche se solo all’apparenza, però). E, oggi, ridotto alla sola esibizione dello stesso. Come bisogno indotto socialmente a farsi immaginario collettivo (vero Disney e vero liturgie varie, arti, forme di rappresentazione e di richiamo infinite nelle forme e nelle occasioni?): voglio il “matrimonio” (e solo quello), è come dire voglio l’Armani, la Barbie, la Vuitton, se originali of course, per tutti. Vogliamo l’abito bianco, la torta, le candele e la musica d’organo, i paggetti, l’auto extra con i barattoli già montati…; e già vediamo che le neo coppie di sposi gay, di maschi in prevalenza, adottano lo stesso identico abbigliamento, magari del Tight-Pride accessoriato con cravatta perla o rosa confetto. Quell’abito da sposa/o non si deve negare a nessuno,infine dunque !
In nome della pari identità acquisita indossata per merito della Verità e affidabilità del Fornitore. Si “deve” o si” può” negare una Barbie a chi ne ha fatta l’effigie del sé sognato? Pur se a seguito di una chiara istigazione all’illusione? Lieto, grato e confortato dall’essere stato ampiamente preceduto da carissimi compagni Radicali del calibro di Marco Pannella e di Angiolo Bandinelli.
Guido Bianciardi
4-Al direttore - Ho letto con interesse e apprezzamento l’articolo comparso sul Foglio riguardante la “Crociata per Palmira”. Ritengo che, oltre all’amore, un valido motivo per cui impegnarsi a combattere è proprio la storia, la memoria dell’umanità. Le potenze occidentali si sono così abituate a tenersi caramente i propri interessi particolari da aver perso di vista quelle che sono le lotte da portare avanti per la salvaguardia della nostra civiltà, almeno della parte migliore di essa. Ad oggi, quanto possiamo sperare le cose prendano una piega diversa?
Giuseppe Bonaccorso
5-Al direttore - A Milano i tassisti ascoltano bella musica anni 70, 80, 90 e oltre a seconda dell’età. A Roma i canali di Roma e Lazio unificano le generazioni di tassisti. Vorrà dire qualche cosa? Lei che ne pensa?
Chicco Testa
Inter 52 punti, Milan 49 punti, Lazio 66 punti, Roma 70 punti. Diciamo che a Milano, di questi tempi, meglio cantare, che pensare al calcio.
6-Al direttore - E’ triste pensare che un quarto del Pd voterà contro se stesso, o si asterrà, o si voterà… sperando di perdere. Fa parte del costume di quel partito, un sadomasochismo giustamente sbeffeggiato da Matteo Renzi. E’ anche triste che Renzi ricalchi quel masochismo, presentando alle elezioni persone che per un motivo o per l’altro non era proprio il caso, in tal modo procurando o, ben che vada mettendo a grave rischio, la catastrofe del partito e del governo. C’è da chiedersi il perché di questo cupio dissolvi, del perché il Rottamatore all’apice del successo abbia deciso di rottamarsi. Anche per lui vale quel che scrive Sigmund Freud in “Coloro che soccombono al successo”, a proposito del suicidio di chi si sente in dovere di espiare un’antica, indicibile colpa. Quale, nel caso di Renzi? Il fratricidio di Civati e di altri fratelli? Il parricidio di Bersani e di altri padri? Un macbethiano delirio di onnipotenza per cui Renzi crede di illuminare con il solo tocco della sua mano individui avvolti dalla tenebra? O è il peggiore dei modi per andare alle elezioni politiche anticipate? Chissà. Certo i cilici di Renzi mascherati da un fare spavaldo rischiano di lasciare il Pd e l’Italia alla mercé dei telematici grillini, che inconscio non hanno.
Categoria Italia
Umberto Silva