La fatwa dell’antimafia. “Impresentabile”, categoria metagiuridica a beneficio
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di mozzorecchi. Il cuore della questione non sta nella procedura ma nella semantica.
di Massimo Bordin | 28 Maggio 2015 ore 20:06
Il cuore della questione non sta nella procedura ma nella semantica. Il sapiente e, soprattutto, il profano possono addentrarsi voluttuosamente in un percorso tortuoso fra tribunali amministrativi regionali e tribunali ordinari, decadenza dalla carica, sospensione e supplenza ma l’inghippo principale di tutta la faccenda sta nel significato di una parola: “Impresentabili”. Qua sta il cuore del problema. Se uno non si può candidare alle elezioni si parla di “incandidabilità” e casi del genere sono già regolamentati per legge. Siccome le leggi sono scritte in modo complicato, il termine tecnico è “perdita dell’elettorato passivo” ma insomma vuol dire che uno non può candidarsi alle elezioni e fine del discorso. A questa legge, diciamo così, antica, se ne è poi aggiunta un’altra sulla incandidabilità alle elezioni amministrative dei condannati per alcuni tipi di reato. Questa legge è stata poi trasfusa nella recente legge Severino che tratta anche di deputati e senatori. La trasfusione non è venuta benissimo e sta dando lavoro a diversi tribunali ma non è questo che qui importa, qui basta notare che le leggi in materia certo non mancano.
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“Impresentabile” è quasi un sinonimo di “incandidabile”, presentarsi alle elezioni sta per candidarvisi, ma con un leggero e decisivo slittamento semantico la presentabilità diventa un criterio soggettivo e così si svincola dalla legge pur facendola supporre. E’ il dramma senza sbocchi della nostra politica, acuitosi nel tempo. Alla critica politica centrata su discorsi del tipo: “Costui sta facendo pericolose castronerie e bisogna fermarlo con la battaglia parlamentare e la mobilitazione di massa” si è andata sostituendo una logica secondo la quale “costui non può fare quello che sta facendo ai sensi del comma vattelappesca della legge non so quale”. E spesso il richiamo ai codici non è molto più puntuale e pertinente. In queste elezioni regionali c’è effettivamente un ulteriore salto di qualità. Non solo per il caso De Luca e le complicazioni dovute ai ricorsi sulla legge Severino ma soprattutto per la nuova categoria di impresentabilità che dalla polemica fra i partiti e al loro interno è passata al lessico dei notisti politici e infine approdata alla commissione parlamentare Antimafia. E qui la questione diventa grottesca. La commissione parlamentare vaglierà posizioni di candidati evidentemente già in regola con la normativa vigente in merito alle candidature. Dunque il suo sarà un criterio soggettivo basato sulla storia giudiziaria dei candidati. Vuol dire che nell’elenco tanto atteso ci saranno assolti e prescritti, oltre che solo indagati. C’è un caso davvero singolare, già segnalato da più di un giornale, di una lista in sostegno a De Luca che presenta un candidato il cui padre è stato processato come prestanome di uno degli Schiavone, i capi dei casalesi. Solo che è stato assolto. Per carità, che la stampa locale se ne occupi è anche logico, che nella polemica elettorale gli avversari possano criticare il candidato per la disavventura giudiziaria, pur finita bene, del padre, fa parte delle regole del gioco. Il candidato si difenderà di fronte agli elettori che poi decideranno. Ma una commissione parlamentare che il giorno prima delle elezioni inserisse quel nome in un elenco di “impresentabili” con la qualifica di figlio di assolto, dovrebbe dare da pensare.
Al di là del grottesco, sempre in agguato, il messaggio che trasmetterà l’elenco sarà inevitabilmente: questi, a parere nostro, non avrebbero dovuto nemmeno presentarsi e vi invitiamo a non votarli. Si tratta ovviamente di un parere, ma una commissione parlamentare che si inserisce in quanto tale, se non nella pre-selezione dei candidati come fanno gli imam iraniani, a conclusione della campagna elettorale sulla loro votabilità, non si era mai vista. Peraltro il ritardo e le lacune nella raccolta dei dati hanno aggiunto, oltre che ulteriore arbitrarietà al parere, anche quel tocco di inaffidabilità burocratica che sempre caratterizza l’attività istituzionale nel nostro paese. Quello che però è decisivo sta nella base materiale su cui si fonda il giudizio di impresentabilità. E alla base c’è l’operato delle procure. Non dei giudici, si badi, perché in caso di condanna basterebbe la legge vigente, come abbiamo visto. Qui basta una indagine avviata o un ricorso contro una assoluzione. Non si tratta di sostenere che tutti i candidati siano modelli di civismo e tempre di amministratori, l’elettorato ci sta apposta per sceglierli e la libera stampa per informare l’elettorato. La categoria metagiuridica dell’impresentabilità si fonda non su criteri di legge ma su elenchi costruiti sulla base di iniziative giudiziarie ancora tutte da verificare. L’enorme potere delegato alle procure dovrebbe preoccupare in primo luogo i magistrati ma finora solo Raffaele Cantone ha, sia pure con cautela, posto la questione.
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