Il piano Renzi per un monocolore Pd. A Palazzo Chigi gira uno schema per cambiare verso, dopo le regionali
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a 16 caselle del governo. Il collasso del partito di Alfano, Boschi che studia da vicepremier, i colloqui vaticani, la ragione della mossa sulle unioni civili
di Leopoldo Mattei | 22 Maggio 2015 ore 06:15 Foglio
Adesso si può dire. C’è un piano Renzi per trasformare il governo in un monocolore Pd, e senza passare dalle elezioni anticipate. Tutto dipenderà dal risultato delle urne del 31 maggio, quando il premier-segretario conta di portare a casa sei regioni sulle sette in palio (qualsiasi cosa arriverà in meno sarà un risultato deludente). Tanto per cambiare, in pieno stile renziano anti De Coubertin, conta solo vincere. E vincere bene. Perché se invece del punteggio tennistico (6-1), arrivasse quello calcistico del 4 a 3 (perdendo oltre al Veneto, anche Liguria e Campania), allora il “piano monocolore” andrebbe a farsi friggere. Per questo serve il cappotto, o quasi. E pur di centrare l’obiettivo, il premier-segretario si sta, come si dice, turando il naso da settimane davanti ai candidati impresentabili a sostegno di Enzo De Luca in Campania: l’unico in grado di vincere, nonostante tutto? Il piano di battaglia parte da una mappa che Renzi ha ben fotografata in testa. Anzi, a Palazzo Chigi l’hanno pure scritta e la pubblichiamo qui in prima pagina, perfettamente riprodotta con i potenti mezzi del Foglio. Nel governo, tra ministri e sottosegretari, oggi sono occupate 52 poltrone (destinate a salire), di cui ben 36 vedono al timone esponenti del Pd o tecnici ultrarenziani.
Nella mappa del potere, è evidente lo strapotere dei pallini rossi (politici del Pd). E chi, tra i pallini blu, ha visto il diabolico schemino ha già capito la malaparata. Oltre due terzi del governo indossano la casacca democratica, ma il premier segretario punta più in alto. Perché, come prevedono dai sondaggi (per quello che valgono), se alle regionali Ncd-Udc e Forza Italia sprofondassero è chiaro che lo sfaldamento dei gruppi parlamentari andrebbe a rafforzare le file del Pd. E così Renzi, che comunque ha messo in conto il successo parziale di Lega e M5s, avrebbe i numeri per completare le riforme in serenità, sia alla Camera sia al Senato. Mentre il 2 giugno scatterebbe un radicale rimpasto di governo, sempre basato sui risultati delle regionali. Intanto Alfano, ministro dell’Interno e leader di Ncd, ha iniziato, comprensibilmente, ad agitarsi da tempo. Perché sa bene che a ritrovarsi con Maria Elena Boschi promossa vicepremier è un attimo. E siccome la compagine di Area popolare (Ncd-Udc) oscilla tra il 2-3 per cento, sarebbero in molti a pagare lo scotto, visto che tre ministri (Alfano, Galletti e Lorenzin) e cinque sottosegretari (Costa, Castiglione, Cassano e Toccafondi) sono troppi per un partito da prefisso telefonico. Se l’approvazione dell’Italicum è lo scalpo esibito agli elettori come la vittoria del nuovo Pd che-le-riforme-le-fa-davvero, oltre alla legge sul conflitto d’interessi annunciata dal ministro Boschi, la prossima riforma nel ruolino di marcia di Renzi è quella sulle unioni civili. Un altro passaggio diabolico, certamente scelto non a caso, con l’obiettivo di ridimensionare le velleitarie aspirazioni politiche dei cattolici di Ncd e Udc, al cui interno si scatenerà il pandemonio quando si dovrà approvare la legge in Parlamento. Non saranno “nozze gay” ma “civil partnership”.
La versione renziana del disegno di legge è ispirata al modello tedesco dell’Eingetragene Lebensgemeinschaft, le unioni civili in vigore dal 2001: le coppie omosessuali potranno iscriversi in un apposito registro dedicato ai “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. In questo modo potranno usufruire degli stessi diritti e doveri delle coppie eterosessuali sposate: reversibilità della pensione, diritto alla successione in caso di morte e la possibilità di assistenza negli ospedali e nelle carceri. Alt sulle adozioni, ma un partner potrà adottare il figlio dell’altro? Una legge europea, senza forzature ideologiche. Una “svolta di civiltà”, così la chiama il premier, di cui Renzi ha parlato almeno due volte oltretevere durante gli ultimi colloqui con Papa Francesco. E la risposta da parte di una buona fetta della gerarchia ecclesiastica, a differenza dell’ala vatican-radicale ormai in netta minoranza, non è stata ovviamente di apertura ma è stata come si aspettava Renzi: di non belligeranza. Chissà.
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