Cosa concederà Renzi alla minoranza

Rughetti spiega i punti della trattativa sul Senato, vitale per il governo

di Redazione | 14 Maggio 2015 ore 06:03 Foglio

Roma. Ci sono i renziani con il coltello tra i denti, più renziani di Renzi, quelli che “asfalterebbero” tutti al primo cenno di Matteo il rottamatore, ci sono poi i ripetitori e i citofoni del presidente del Consiglio, e ci sono infine quelli che coltivano la sottile e democristiana arte della mediazione, dei toni soffusi, dell’ascolto e delle carezze, che sono sempre opportuna ginnastica politica, ci sono insomma anche quelli come Angelo Rughetti, deputato del Pd e sottosegretario per la Pubblica amministrazione: “Con le minoranze del partito si discuterà ampiamente. Vedrete che la riforma del Senato sarà modificata”, dice lui, col tono di chi sa come si chiariscono i dissidi, mentre tutt’intorno però gli altri fanno rumore. E s’odono infatti provocazioni e rivendicazioni, strepiti e lamenti nel cosmo umorale e agitato del Pd. Ecco Miguel Gotor al manifesto: “Renzi fa solo propaganda. Dovrebbe attaccare la destra, non noi”. E Stefano Fassina a Repubblica: “Ormai il premier guarda a destra, bisogna cambiare o me ne vado”. Sorride Rughetti: “Renzi darà ascolto a tutti. Mantenendo però un punto fermo, il monocameralismo”.

A Palazzo Madama, in Senato, la maggioranza si tiene in piedi per una decina di voti, anche meno. Il solo Pier Luigi Bersani conta su quindici senatori. E insomma la riforma costituzionale con la quale Renzi vorrebbe modificare il ruolo del Senato è seriamente a rischio. Tanto che le aperture alle modifiche, che si susseguono più o meno esplicitamente, fanno sospettare che a Palazzo Chigi la spavalderia sita lasciando spazio, un po’, al timore. “Io non la chiamo spavalderia, ma determinazione”, dice Rughetti. “Quanto al timore, nessun timore. La riforma del Senato, come quella della Pubblica amministrazione e quella della scuola, vanno avanti perché sono aspetti del nostro sistema che non funzionano e che abbassano la nostra competitività. Sul Senato, è giusto che si discuta e trovo interessanti alcune cose che sento dire anche nella minoranza del Pd”. Loro chiedono il Senato elettivo. “Che però annullerebbe l’effetto di aver concentrato il potere di fiducia sulla Camera. Io trovo più interessante l’idea di trasformare il Senato in una Camera davvero territoriale, dove siedano di diritto i presidenti delle regioni, due assessori, e poi anche dei consiglieri regionali, anche dell’opposizione, cui va garantito il diritto di tribuna”. E questo andrebbe bene alla minoranza del Pd che strepita? “Credo che se ne possa discutere. Sono d’accordo con quello che dicono Cuperlo ed Epifani, quando segnalano la necessità che, approvato l’Italicum, il Senato faccia da contrappeso al potere dell’esecutivo. Dunque noi dobbiamo coinvolgere e ascoltare la minoranza, ma la minoranza poi deve anche riconoscere le decisioni che vengono prese negli organi democraticamente eletti. Altrimenti non è più democrazia, e non c’è reciprocità”.

   Questo lo dicono loro di voi. “E infatti devo confessare che rimango sorpreso quando leggo certe strambe accuse a Renzi, che sarebbe poco democratico, quando spesso è il contrario”. Eugenio Scalfari ha parlato di “democratura”, democrazia-dittatura. “Si sbaglia. Lui rappresenta una certa idea di egemonia salottiera, la stessa di quelli che dicevano: capotavola è dove mi siedo io”. Lo diceva D’Alema. “Ma il capotavola, e la sinistra, stanno dove sta seduta la gente, non dove stanno seduti loro. Dunque lo ripeto, ci vuole un nuovo testo sulla riforma del Senato che piaccia anche alla minoranza del Pd. Altro che democratura. In Italia c’è un tentativo di cambiare le cose, ed è il tentativo di Renzi, che va incontro a forti e fisiologiche resistenze conservatrici. L’esempio più evidente è la sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni. Una sentenza sbagliata che rivela, assieme al rumoreggiare dei sindacati sulla scuola e la pubblica amministrazione, il tentativo disperato di conservare lo stato di cose presenti”. Qualcuno, come Alfredo D’Attorre, dice che la linea di Renzi non è quella del Pd, e che insomma forse ci vuole un congresso. “Il congresso non è lontano, è nel 2017. Adesso non serve a niente. Il congresso lo fai quando una leadership è in crisi. Noi abbiamo vinto tutte le elezioni, dalle comunali alle europee”. Ora ci sono le regionali. “E speriamo di vincere anche queste”. Renzi non sembra entusiasta di De Luca, in Campania. “Se votassi in Campania certe liste collegate a De Luca non le voterei”. E chi voterebbe? “Voterei Pd”.

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