Dateci le lacrime, risparmiateci le vostre

La guerra possibile ai nemici dell’ordine mondiale per raffreddare l’ebollizione mortifera e salvare l’interesse nazionale

di Giuliano Ferrara | 21 Aprile 2015 ore 06:18 Foglio

Dateci le lacrime delle cose, risparmiateci le vostre. Questo vecchio appello letterario viene dal profondo dell’Ottocento, ma è perfetto per la rassegna di piccoli moralismi, infamità gratuite, stumentalismi, giudizi sghembi e banali, in cui consiste la “reazione” al grande naufragio. In un certo senso, ne uccide più la chiacchiera che l’acqua del vasto mare nella notte. L’unico problema per chi non sia in vena di metafore cimiteriali, invettive ciniche contro la vita degli altri, scemenze solite sull’Europa che deve fare la sua parte, è questo: di cosa stiamo parlando, cosa si può fare, perché fino a qui non lo si è fatto.

Secondo il giornale della City di Londra, dove l’establishment non ha messo in comune a Schengen le sue frontiere ma nonostante questo fronteggia un formidabile concorrente elettorale sul tema del rigetto dell’immigrazione, non si può fare niente: aumentare i soccorsi e trasportare più gente in sicurezza, no; condividere in proporzione quote di immigrati in Europa, no; stabilizzare la Libia infernale, no. Per quanto ragionevoli, e stilizzate come common sense, le ragioni del nulla producono il nulla, e nulla è la parola giusta sia a definire l’eccidio per acqua sia per l’impotenza in cui si trova l’Europa (in compagnia degli Stati Uniti al confine messicano, dell’Australia  arrivata alla politica del blocco, del Sudafrica eldorado dei superpoveri in cui fiorisce ora la violenza verso i nuovi arrivi).

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Non sono correnti migratorie sfruttate da cinici mercanti di carne umana (quelli ci sono, ma non sono la radice del fatto, sono la sua ovvia conseguenza). E’ una fuga da situazioni di guerra e di miseria nera che parte da diverse regioni dell’Africa  (Ghana, Etiopia, Somalia, Sudan, Niger, Nigeria e molte altre, non solo dell’Africa nera). Forse è la ricerca della felicità di cui ha parlato il Papa della tenerezza, certamente è la rotta di un continente, è un viaggio al termine della paura, generato dalla paura, sfruttato dai mercanti di paura, sia in loco sia qui da noi con le bestialità dei demagoghi-sciacalli. E’ la dimostrazione ideologica che il denaro forse è lo sterco del diavolo, ma il capitalismo di mercato è un paradiso delle classi medie per chi vive nell’inferno subumano dove esso non esiste. E la complicazione, se vogliamo chiamarla così, è di stampo islamico. In Libia lo sciocco occidente dei Sarko, dei Bernard-Henri Lévy e degli Obama ha portato un errore strategico, che è peggio di un delitto, com’è noto, ma poi a trasformare le conseguenze dell’errore in delitto ci hanno pensato i sanguinari saraceni, sia quelli organizzati che decapitano i pellegrini della paura se cristiani, sia i compagni di viaggio maomettani, che li buttano giù dalla barca se pregano. Comunque: un continente immiserito e demograficamente ultravitale cerca sbocco strutturale in un coacervo di nazioni ricche, civili e povere di nascite. Punto. Muoiono a centinaia spinti dalla tragedia della storia, non perché manchino di salvagente.

C’è una sola cosa decente che si possa fare: la guerra ai nemici dell’ordine mondiale, nei luoghi elettivi in cui si fanno mediatori di un’invasione selvaggia dei nostri confini e delle nostre coste, oppure l’apertura delle frontiere e l’organizzazione del trasbordo, il grande rimpiazzo demografico. La guerra non si fa solo con l’aviazione militare, i droni, le truppe di terra, cose che alla fine possono risultare decisive. Si fa anche con i servizi, con le truppe speciali, con l’informazione tecnologica e i suoi portenti. Si fa distruggendo chirurgicamente le basi, che si conoscono anche via satellite, del traffico di esseri umani. Si fa finanziando lo sviluppo e la cacciata dei regimi corrotti e satanici in cui allignano i Boko Haram e i serbatoi di mortuaria migrazione-invasione, e il conto finale lo dobbiamo pagare noi ricchi, e forse non è a nostro svantaggio. Rinviare le decisioni alla governance europea o a quella dell’Onu, aspettare che gli Stati Uniti si dotino di un presidente compos sui, è molto rischioso. Fino a ieri ineffettuale. Per raffreddare l’ebollizione mortifera dell’Africa bisogna partire dall’interesse nazionale di ciascuno e dalla sua tutela, uscendo per umanitarismo efficace dall’umanitarismo assistenziale e straccione. Oppure bisogna aprire i confini e sopportarne le conseguenze tutti in Europa. Alternative non ce n’è.  

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