Lettere al Direttore Foglio 18.4.2015
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Di chi sono le responsabilità di una posizione dominante? Evviva il patto Renzi-Bersani
1-Al direttore - Le notizie che trapelano da Forza Italia ci dicono che un numero considerevole di deputati e senatori è pronto a votare la fiducia sulla nuova legge elettorale,
indipendentemente dalle posizioni ufficiali del partito. In sostanza si può sostenere che una parte del partito vuole tornare ai tempi del patto del Nazareno o almeno a creare una intesa cordiale con Renzi. L’apparenza è che tra Berlusconi e Renzi all’inizio vi era un patto tra soci paritari, poi uno di essi ha scalzato l’altro ed è diventato il dominus del patto che stabiliva gli eventuali dividendi del potere da elargire o meno all’altro socio in evidente situazione di subalternità politica. Quando si è trattato di discutere sull’elezione del capo dello stato Renzi ha deciso da solo e si è limitato a comunicare la sua decisione all’altro socio, magari offrendogli altri benefit. Un elettorato di opinione e liberale che si vede calare dall’alto da un politico a capo di un partito dominante cosa è meglio fare e cosa non è valido non regge alla prova dei fatti, Renzi per quanto simile a Berlusconi non è Berlusconi e ha una storia diversa per cui trasformarlo in deus ex machina capace di risolvere tutto da solo non pare possibile.
Carlo De Rosa
Prima o poi bisognerà chiarire un punto però. Il patto del Nazareno non era paritario. Era un patto in cui uno dei suoi azionisti, Renzi, aveva molto più potere contrattuale del suo socio Berlusconi. Se il patto si è rotto è perché Renzi ha forzato la mano, certo, ma è anche perché il nostro Cav. non è riuscito a fare una mossa semplice che gli avrebbe permesso di non perdere centralità e far emergere lo squilibrio. La mossa è ovvia: dire di sì subito a Mattarella. E se non si capisce questo passaggio non si capisce nulla. E non si capisce neppure quello che sta succedendo in queste ore sulla legge elettorale.
2-Al direttore - Condivido pienamente il rischio che l’Italicum consegni il paese al monopartitismo, come Ella scrive. E certamente vi è la colpa di chi dimostra di non sapere sottrarre “fette di mercato” a chi ha raggiunto una posizione dominante. Del resto, anche l’opposizione esercitata su tale legge all’interno del Pd, a volte, appare come una pistola ad acqua, se si considera che un alto esponente alla domanda su quale voto conclusivo darà la minoranza se non saranno accolti i tre emendamenti che questa si proporrebbe di presentare in Aula alla Camera, ha risposto – cosa mai vista in un negoziato – che il voto sarà positivo: con il che, si può dire che per la maggioranza sarebbe una somma imprudenza accogliere i predetti emendamenti, vista la conclusione scontata del confronto. Ma, detto ciò, non si può disconoscere anche la responsabilità di chi vuole accrescere la posizione dominante, tanto per rimanere alla terminologia antitrust che, per la verità, sanziona solo questi. Anche perché dice di voler guardare ai prossimi venti anni dell’Italia, Renzi non può essere esonerato da valutazioni critiche per diversi aspetti dell’Italicum (unito alla riforma costituzionale). O pensa – e si pensa – che sarà sempre lui al governo per un nuovo ventennio (!) a dare improbabili garanzie di una non degenerazione del monopartitismo?
Angelo De Mattia
Le posizioni dominanti esistono in tutti i campi ma la causa di una posizione dominante è un mix fatto di debolezza degli avversari e forza delle maggioranze. E se l’Italia rischia di diventare un sistema monopartitico, prima di pensare alle responsabilità della legge elettorale bisogna pensare alle responsabilità di chi ha permesso che il primo partito italiano diventasse praticamente l’unico partito italiano.
3-Al direttore - A me un fatto pare chiaro: il minimo comun denominatore della minoranza Pd è costituito anzitutto dal risentimento personale che nutre nei confronti di Renzi, visto come un alieno sbarcato a Largo del Nazareno per ridurre in schiavitù i terrestri postcomunisti e postdemocristiani. Ma facciamo pure finta che la battaglia dei difensori della “ditta” contro il Partito della nazione abbia un suo ubi consistam politico. In fondo, insieme alla renziana vocazione maggioritaria in un sistema tendenzialmente pluripartitico, resta in campo la vecchia vocazione ulivista in un regime pluripartitico e a centralità parlamentare. Ma, invece di aprire un confronto alla luce del sole su queste due prospettive strategiche, Bersani e soci si sono persi in risibili guerricciole sul tasso di preferenze e di nominati dell’Italicum. Al di là del meccanismo di voto, tuttavia, anche chi rifiuta l’idea del Partito della nazione non può negare che il Pd è oggi obbligato a slittare verso il centro, ovvero che il suo futuro è legato alla capacità di rappresentare gli elettori intermedi (area socialmente composita, che comprende anche quei ceti popolari che scelgono da che parte stare in base non alle ideologie, ma alle concrete offerte del mercato politico). E’ esattamente lo scoglio su cui si sono infranti i sogni di gloria di Romano Prodi. Renzi, che pure di pasticci ne combina (riforma del Senato in primis), questo l’ha capito. Certi suoi avversari, invece, sembrano ancora affezionati al rassemblement della Cosa rossa (ogni riferimento a Susanna Camusso è puramente volontario). Qualcuno se la ricorda? La sinistra italiana si sta ancora leccando le ferite per quella disastrosa stagione.
Michele Magno
C’è anche questo, è vero, ma come vede non bisogna drammatizzare. Due giorni fa, nell’intervista che Bersani ha rilasciato a Ferrara, abbiamo anticipato che un patto sarebbe stato possibile fra il segretario e l’ex segretario. Forse non sarà il Senato elettivo. Forse sarà qualche accordo sui capilista. Ma qualcosa spunterà. Niente drammatizzazioni. Solo politica, baby.