Lettere al Direttore Il Foglio 7-4-2015
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Come cambia il lavoro (con alcuni dati). Chi non capisce Israele oggi
1-Al direttore - “Ma tu, che lavoro vuoi fare da grande?”.
Domandina pourparler rivolta da adulti banali a incolpevoli bambini. Che poi, a parte le rare eccezioni di quelli il cui destino professionale è segnato per vocazione, anche famigliare, o inseguito per determinazione, per gli altri la faccenda è più che altro che lavoro si riuscirà a trovare, quando sarà il momento. Se guardo all’oggi e provo a immaginare il domani, in questa economia dello sharing e della digitalizzazione, mi sa che i lavori che si riusciranno a trovare saranno sempre meno: Whatsapp avrà messo in ginocchio le telco, Airbnb il settore alberghiero, Bla Bla car quello dei trasporti, Amazon gli editori, download e streaming illegali le case discografiche e cinematografiche, l’automatizzazione avrà reso inutili (lo sta già facendo) casellanti e commessi. Molti testi saranno scritti da algoritmi avanzatissimi, molte auto saranno driverless e molti pasti saranno a base di soylent. Datemi del babbeo passatista o del miope luddista, ma, mi sembra, nel mercato la forza distruttrice non si accompagna più a quella creatrice in termini di generazione di posti di lavoro. Se (per riprendere l’esempio di Jaron Lanier) Kodak dava impiego a 140.000 dipendenti e Instagram a 13, di che camperanno gli altri 139.987 cristiani? Tutti di reddito di cittadinanza? E’ dunque questa la decrescita felice?
Daniele Montani
Lei ha perfettamente ragione. Però quello che descrive è un mondo che non può essere combattuto ma di cui bisogna solo prendere atto. E il modo peggiore per prenderne atto è pensare che si possa tornare indietro, pensare che di fronte a una rivoluzione in corso non sia necessario cambiare le proprie attitudini. Le faccio due esempi che prendo in prestito da un bel libro scritto da Lorenzo Salvia per Marsilio (“Resort Italia”). Le pare possibile che di fronte a questa rivoluzione in corso nel 2013-2014 gli iscritti al primo anno di Psicologia, all’università, siano stati 4.776 mentre, per dire, gli iscritti al primo anno delle facoltà collegate ad arti e patrimonio culturale siano stati 37? Le pare possibile che nel 2014 sono stati 47 mila i posti di lavoro da impiegati offerti ma rimasti scoperti? L’ex sindaco di New York, Bloomberg, diceva che, visto l’improvviso mutamento del mercato del lavoro, per lo studente medio oggi diventare idraulico potrebbe essere una soluzione migliore che iscriversi a Harvard. Ovviamente è una provocazione ma la sindrome master chef – ovvero la tentazione di costruire il proprio percorso lavorativo non in base a ciò che offre il mercato ma in base a ciò che offrono le mode – è dietro l’angolo e mai come oggi bisogna vigilare e stare attenti.
2-Al direttore - E’ difficile non fare proprio il grido accorato, direi quasi di rabbia di Giuliano Ferrara nel suo bellissimo editoriale sull’”eterno venerdì santo di rassegnazione” dei cattolici. Un grido che dovrebbe accomunare credenti e non di fronte alle stragi in particolare di cristiani. Come credente mi vergogno per l’impotenza, l’indifferenza di cui stiamo dando prova come mondo occidentale. La gioia del cristiano per la resurrezione di Cristo mai come in questo tempo è macchiata di sangue.
Pasquale Ciaccio
Ogni mese 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede. Finché l’indignazione corrisponderà soltanto a un mucchio di parole e non si trasformerà in una rivoluzione culturale il trend purtroppo non cambierà. Parole, parole, parole. Morti, morti, morti.
3-Al direttore - Losanna 2015. A confronto Monaco 1938 fu un successo straordinario per la pace. Mogherini, Obama, Merkel, tutti invidiosi del posto occupato nella storia da Chamberlain. Cordialmente.
Giovanni De Merulis
Capisco la provocazione ma le dico solo una cosa anche a costo di utilizzare l’accetta: uno stato che non riconosce Israele e che ora – dopo l’accordo “storico” di Losanna – ha più probabilità di prima di dotarsi di una bomba atomica è uno stato che non può che far paura. E se a questo, come ha ricordato sabato scorso sul Foglio Giulio Meotti, aggiungiamo il fatto che il giorno prima dell’accordo il comandante delle Guardie rivoluzionarie dell’Iran ha detto che “l’obiettivo di cancellare Israele dalla mappa geografica non è negoziabile”, se permette mi fa pensare che le preoccupazioni di Israele non siano solo fisime ma siano davvero qualcosa di più.