Insalata Misto. Il rifugio dei viceré ora è la quarta forza parlamentare
- Dettagli
- Categoria: Italia
Leghisti e montiani, centristi e vendoliani, peones e vecchie glorie. Fenomenologia di un Gruppo di grido (e di governo?)
di Salvatore Merlo | 02 Aprile 2015 ore 06:18 Foglio
Sandro Bondi (foto LaPresse)
Da sempre asilo d’indecidibili silenzi e tomba di fragorose carriere politiche, il Gruppo misto è spesso l’ultima fermata, la soluzione finale dei reietti e dei rivoltosi, degli scontenti e dei delusi. Ed è per ciò ancora più sorprendente che questa specie di limbo del Parlamento, questa sacca anonima del Palazzo, abbia oggi più deputati dell’Ncd e dell’Udc messi insieme, che sia il quarto gruppo parlamentare più numeroso della Camera e del Senato, l’unico gruppo, tra baruffe democratiche, ammutinamenti berlusconiani, scioglimenti civici e botti grillini, in cui deputati e senatori, con scatto deciso e cupa determinazione, fanno la fila per entrare: “Scusi, dov’è che ci si iscrive?”. Camera di compensazione che precede talvolta un voltafaccia, un cambio di casacca, il passaggio dalla destra alla sinistra, o viceversa, il Gruppo misto è più spesso un esilio volontario, una legione straniera dove si deposita infelice, a espiare, la schiuma del Parlamento, un non luogo della politica. E infatti ci finirono Lamberto Dini e Giulio Andreotti, Antonio Di Pietro e Fausto Bertinotti, ciascuno sospinto da una sua malinconia, da un dispiacere politico o senile, tutti mossi da compostezza rassegnata, da un desiderio d’immobilità dopo anni di lotta e di ribalta. E d’altra parte gli aggettivi tendono a recuperare i barlumi della sostanza che sta dietro alle cose, e “miste” sono infatti l’insalata e la frittura, “misti” sono l’impasto della pizza e anche il beverone energetico di Fantozzi, e “misto” è infine tutto ciò che è impuro e promiscuo, come certi matrimoni, o tutto ciò che è indifferenziato, come la monnezza, che è uno scarto ma è anche riciclabile.
ARTICOLI CORRELATI Con Fitto, senza Salvini. La nuova Forza Italia vista dal berlusconiano Matteoli La necessità del Cav. di correre da solo
Oggi nei gruppi misti ci sono Mario Monti e Manuela Repetti (con Sandro Bondi), Claudio Fava e il grillino Luis Alberto Orellana, i leghisti amici di Flavio Tosi, tutti insieme, in una sofistica di rapporti caratterizzati dal silenzio sempre un po’ inquietante delle convivenze forzate, ma tutti animati da bizzarra vitalità: trentadue senatori e trentotto deputati, con Raffaele Fitto che ogni tanto minaccia il Cavaliere, “guarda che andiamo tutti nel Gruppo misto”, mentre Denis Verdini rassicura il vecchio capo: “Per sostenere Renzi, se vuoi, mi porto un po’ di gente nel Gruppo misto”. Ma cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, e così il Gruppo misto scintilla agli occhi di Fitto e di Verdini, il ribelle e l’amico, come una possibile promessa di felicità. E infatti ogni tanto anche a sinistra, Pippo Civati, quando si arrabbia con Renzi, la butta lì: “C’è sempre il Gruppo misto”, gli fa sapere. Mentre Gianni Cuperlo promette che “resteremo nel Pd… non siamo ancora gente da Gruppo misto”.
Area problematica, dunque, questa mista, sempre contrassegnata da distacchi più o meno traumatici, abbandoni laceranti e non di rado anche da desideri di vendetta. Ed ecco allora in che modo si viene componendo il mosaico della decomposizione parlamentare sotto i nostri occhi: una geografia spuria, mista appunto, eppure tremendamente essenziale nella legislatura che Matteo Renzi sta disarticolando (lui direbbe asfaltando) con allegra protervia: gruppo parlamentare per gruppo parlamentare, partito per partito: Forza Italia e M5s, Scelta civica e Sel, e nemmeno Angelino Alfano adesso si sente tanto bene. Pochi segni sono più chiari del Gruppo misto che si gonfia, poche altre prove dimostrano quel che ha cominciato a ribollire. La nube mista resterà lì, spostandosi densa da un decreto all’altro, da una riforma all’altra, disegnando sempre nuove e strambe maggioranze. E questo anomalo mescolarsi, questo misto pazzo, allude alla fine di una fase e forse all’inizio di un’altra.