Cannes 2011. La verità sul Cav. disarcionato
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raccontata da Zapatero, caballero gentiluomo. L’ex premier spagnolo rende a Berlusconi l’onore delle armi e la sovranità politica espropriata all’Italia per decreto internazionale
di Alessandro Giuli | 23 Marzo 2015 ore 16:26 Foglio
José Luìs Zapatero non è Silvio Berlusconi e non è Renato Brunetta, non ha conti da regolare con l’establishment né disegni complottisti da denunciare. Eppure si deve a lui, ex primo ministro di una Spagna socialista e arcobalenata e presto sfiorita, se ancora oggi il Cav. e i suoi scudieri possono vantare un credito d’immagine e di giustizia nei confronti dell’Europa matrigna e di un’America allarmata e cinica. Zapatero ha ripetuto ieri, a colloquio con la Stampa di Torino, il contenuto di alcune rivelazioni già presenti in un suo recente libro. Lo ha fatto con un trasporto se possibile più nitido nei confronti dell’Italia berlusconiana.
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Interpellato a proposito del parossistico G20 andato in scena nell’estate del 2011, con l’Italia boccheggiante sotto il liquame della speculazione finanziaria, Zapatero dice: “Non dimenticherò mai quel che ho visto in Francia. Andai con il timore che potessimo essere nel mirino dei sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia… Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi. Loro non cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò strano”. Al golpe! Al golpe? “Io mi limito a dire quel che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo. Era vero che l’Italia aveva problemi finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una nazione. E’ un caso che va studiato”. Zapatero si dice pronto a parlarne “presto” anche in pubblico – “Sono pronto” – epperò puntualizza: “Non dirò una parola contro di lui. Oggi sarebbe facile, ma ho lavorato bene con Berlusconi”.
Signorilmente, Zapatero non rivolge cattiverie al Cav. Qualche rilievo critico sulla vacanza di potere innescata dall’allora premier e dalla sua corte disordinata e un po’ infida, invece, qui al Foglio lo sollevammo per tempo e ce lo teniamo ancora dolorosamente caro (per capirci: dalla gestione del caso Fini all’overdose di cene eleganti). Ma insomma non c’è dubbio che l’estate di Cannes fu il prologo del berlusconicidio politico perfetto sopraggiunto a novembre 2011: a nulla valse il nostro appello a votare sotto la neve, e fu Berlusconi il primo a non ascoltarlo; e a nulla vale oggi ricordare che il subentrante dictator Mario Monti si sarebbe poi giovato, per un anno buono, del sostegno parlamentare berlusconiano alle controverse ma indispensabili riforme tecnocratiche. Il punto è questo e va ben oltre l’esercizio compilatorio di qualsiasi revisionismo storiografico: nella sostanza della cosa pubblica, più ancora che nella forma melodrammatica vilipesa dalle risatine sceme di Merkel & Sarkozy, Silvio Berlusconi ha servito le istituzioni italiane ed europee con un rispetto istituzionale spinto al limite dell’estremo sacrificio, il sacrificio della sua sovranità politica e della sua agibilità personale, ottenute attraverso un forte e legittimo mandato popolare ma espropriate per decreto internazionale. Lo riconosce anche Zapatero, caballero gen