Bipopulismi. Riforme plebiscitarie smontate da plebisciti, la giostra riparte
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I referendum possono dare all’opposizione una bandiera unificante (prima) e il crisma della vittoria (dopo), ma guai a esagerare,
Francesco Cundari 13.12.2024 linkiesta.it lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Il regolismo che affligge la politica italiana è una malattia i cui effetti si estendono molto oltre il campo delle riforme istituzionali. Qualunque iniziativa politica segue ormai da anni lo stesso schema dell’infinita discussione sulle regole del gioco: una micidiale alternanza di grandi riforme, capaci di monopolizzare per anni l’attività di maggioranza e opposizione, e grandiose campagne referendarie, che le spazzano via pochi anni dopo, facendo tabula rasa e preparando così il terreno per nuove riforme, e naturalmente nuovi referendum.
È la storia di questi trent’anni di «riformismo costituzionale» (espressione che già di per sé, in una democrazia matura, dovrebbe essere giudicata sconveniente) e col tempo, purtroppo, è diventata anche la storia della politica italiana tout court. La notizia del via libera arrivato ieri dalla Cassazione al referendum abrogativo dell’Autonomia differenziata, ma anche del Jobs Act e della legge sulla cittadinanza, conferma questa dinamica e dovrebbe dunque sollecitare una riflessione da parte di tutti.
Il governo dovrebbe sapere che il referendum sull’Autonomia differenziata, se riceverà anche il via libera della Corte costituzionale, avrà buone probabilità di passare, fornendo all’opposizione una bandiera e una missione unificanti prima, e il crisma della vittoria dopo. Per Giorgia Meloni una simile sconfitta sarebbe un colpo difficile da assorbire, non foss’altro perché non potrebbe più utilizzare il suo argomento preferito, e pressoché unico, per rintuzzare qualsiasi critica, quello del consenso popolare.
È la trappola del populismo, simile a un corso di pilotaggio in cui non s’insegni come atterrare: puoi fare mille acrobazie finché il serbatoio è pieno, ma quando il carburante comincia a scarseggiare la discesa è rapidissima. Anche l’opposizione, però, dovrebbe riflettere bene sui guasti prodotti da certi automatismi. E non solo perché l’Autonomia differenziata è figlia legittima della sciagurata riforma federalista fatta dal centrosinistra nel 2001 (che già sarebbe un bel motivo di riflessione).
Più in generale, è la tentazione di percorrere la scorciatoia referendaria per portare avanti le proprie battaglie a essere pericolosa, e quasi sempre perdente. Ancor più se tra le leggi da abrogare c’è persino il Jobs Act, che certamente lo meriterebbe per il nome, ma comunque è stato voluto e votato dal Partito democratico meno di dieci anni fa. Con la decisione di firmare il referendum, dunque, Elly Schlein non ha solo messo in imbarazzo nove decimi del suo partito, ma rischia di riprodurre anche nel Pd la stessa dinamica autodistruttiva e paralizzante che ha segnato la Seconda Repubblica.
Il danno potrebbe rivelarsi molto serio: se da oggi in poi ogni nuovo segretario si sentisse autorizzato a smontare tutto quello che ha fatto il partito sotto la guida del predecessore, sarebbe meglio chiudere subito bottega e mandare a casa tutti i dirigenti, prima che gli italiani li denuncino per stalking