Il risiko bancario. Tutti i politici vogliono una banca: Salvini si oppone a Unicredit-BPM. L’errore nella forma e nel concetto
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Il vicepremier critica l’accordo, evocando rischi per la stabilità e l’autonomia del sistema nazionale. Mentre Bankitalia è fuori dai giochi, resta il nodo della vigilanza sul mercato e del ruolo di Consob
Antonio Mastrapasqua 5.12. 2024 alle 15:00 ilriformista.it
Zio Paperone si tuffava nei soldi accumulati nei suoi depositi, non aveva bisogno di una banca. Tutto il contrario dei nostri politici: tutti vogliono una banca. Quasi vent’anni fa, Piero Fassino al telefono con Giovanni Consorte, esclamò: “Abbiamo una banca”, come se il suo partito fosse diventato il padrone della Banca Nazionale del Lavoro (attraverso Unipol…) oltre che del Monte de’ Paschi (beh, effettivamente…). Pochi giorni fa è toccato a Matteo Salvini reclamare sulle attenzioni che Unicredit ha rivolto al Banco Bpm, come se il Banco fosse “cosa sua” o della “sua parte” politica.
Tutto sotto controllo
Il vicepremier, nonché ministro dei Trasporti – una delega che poco lo autorizza a disquisire di banca e finanza – ha preso cappello contro l’Ops di Unicredit. Si sa, quando si perdono le staffe si dicono molte castronerie. La prima: “L’interrogativo mio e di tanti risparmiatori è Banca d’Italia c’è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila? Siccome sono tra i più pagati d’Italia, da cittadino italiano vorrei sapere se è tutto sotto controllo”. Va bene l’anti-europeismo, ma la Banca d’Italia non c’entra più nulla su queste partite, lasciate al libero mercato e alla vigilanza europea, non nazionale. Insomma, Salvini avrebbe dovuto chiedere alla Bce di battere un colpo. Non a Bankitalia. Errore blu nella forma. Ma c’è un errore anche nel concetto stesso dell’intemerata. “Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri”, ha continuato Salvini, individuando in Unicredit una banca straniera colpevole di venire nel pollaio domestico a rompere le uova nel paniere. Ora, straniero per straniero, anche Lufthansa non è italiana, eppure è stata gradita acquirente di Ita Airways, mettendo fine a decine d’anni di soldi pubblici gettati al vento, anzi nel buco nero di Alitalia.
Il risiko bancario
Proprio in questi giorni in cui la Commissione Europea ha approvato il pacchetto di misure correttive proposto per consentire a Lufthansa di acquisire una partecipazione di minoranza nel vettore italiano Ita Airways. Dopo l’annuncio dell’accordo a maggio 2023 e la successiva approvazione della Commissione, avvenuta a seguito di un’indagine sulla concorrenza nel luglio 2024, Lufthansa acquisirà finalmente il 41% della compagnia italiana. Durante questo iter Lufthansa e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) si sono impegnati a liberare slot presso gli aeroporti italiani in favore di altre compagnie aeree. Insomma, il mercato a intermittenza si spiega poco, così come il teorico interesse nazionale, che dovrebbe indurre all’uso della golden power per una banca e non per una compagnia aerea. Il problema è dunque la banca, e la voglia di averne una, a propria disposizione? Forse. In effetti il risiko bancario è diventato il gioco preferito anche per alcuni grandi enti previdenziali, Enpam in testa. Tutti vogliono una banca. Ma per farne che? C’è chi ha provato a spiegare questo morboso interesse di Salvini per Banco Bpm collegandolo alla filiale Montecitorio dell’Istituto di credito che ha sede nel palazzo di fronte alla Camera e da cui sarebbero usciti finanziamenti a tassi agevolatissimi per molti parlamentari. In cambio di che cosa? Sarebbero parti invertite: non tanto il piacere di avere una banca, quanto la possibilità di avere dei clienti “speciali”. Eppure, sarebbe ancora poca cosa. Basta un piccolo interesse personale per “difendere” gli interessi nazionali, l’italianità, del panorama bancario?
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Le ragioni
L’italianità di Banco Bpm sarebbe poi tutta da dimostrare, contando nell’azionariato circa il 10% nelle mani di Credit Agricole. Ma insomma, perché tutti i politici vogliono una banca? C’è chi sottolinea la mentalità del ceto politico, di tutte le istituzioni e delle loro derivate, come appunto banche, Rai, partecipate pubbliche, enti e associazioni, nei quali viene diffuso il sottopotere consistente nell’ottenere vantaggi attraverso tutti i propri accoliti, che vengono inseriti nei posti di comando. Per giustificare la sgangherata attenzione di Salvini per Banco Bpm dobbiamo immaginare ci siano ancora fili pendenti dell’ex Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini? O più oscure tracce di Francesco Belsito e dei diamanti della Tanzania? Di certo, il sussulto leghista – di Salvini – contro l’Ops di Unicredit su Banco Bpm, deciso a mercati aperti – trattandosi di due titoli quotati potrebbe giustificare l’intervento di un’altra authority: la Consob ha fatto o detto qualcosa? Insomma, chi difende il mercato?