La ricetta radicale. La lezione di Pannella per risolvere la crisi del Centro: puntare sulle riforme, non sulle alleanze

Nonostante i leader dei movimenti liberaldemocratici in Umbria e Emilia-Romagna si rincorrano nell’attestare la propria centralità nella vittoria del centrosinistra

Giuseppe Benedetto 3-12. 2024 alle 07:22 –ilriformista.it lettura3’

Nonostante i leader dei movimenti liberaldemocratici in Umbria e Emilia-Romagna si rincorrano nell’attestare la propria centralità nella vittoria del centrosinistra, nei rispettivi Consigli regionali non siederanno loro rappresentanti. Nulla di nuovo: in assenza di una classe dirigente ben radicata sui territori, con un’affluenza ai minimi storici e alleanze difficilmente giustificabili agli occhi dei potenziali elettori, la soglia di sbarramento appare come uno scoglio insormontabile per i centristi.

Sembrano passati secoli dalle prime elezioni regionali del 1970. Nonostante gli esigui risultati (il PLI raccolse il 4,74% dei consensi e il PRI il 2,89%), i partiti che pochi anni dopo sarebbero confluiti a livello europeo in ELD (antenata dell’ALDE), riuscirono a eleggere rispettivamente 27 e 18 consiglieri regionali sull’intero territorio nazionale. Da lì in poi, fino alle elezioni del 1990 – le ultime tenutesi durante la cosiddetta Prima repubblica – i partiti liberaldemocratici non si allontanarono mai significativamente dai risultati sopracitati. Il verdetto delle urne, per quanto discreto, consentiva agli elettori di avere una trentina di rappresentanti sparsi per il paese all’interno delle assemblee regionali. Nonostante il numero di eletti superasse di gran lunga quello odierno, il contributo che i pochi consiglieri liberaldemocratici potevano dare ai propri territori era limitato ma qualificante.

Marco Pannella, come gli è accaduto più volte nella vita, se ne accorse per primo condividendo nel 1980, in occasione del XXIII Congresso straordinario del Partito radicale, la mozione che approvò “il non coinvolgimento diretto di compagni iscritti al Partito radicale nella vita istituzionale delle regioni, dei comuni e delle province, se non in situazioni ipotetiche assolutamente straordinarie”. La decisione, ci racconta Gianfranco Spadaccia nel suo volume “Il Partito Radicale: sessanta anni di lotte tra memoria e storia” (Sellerio, 2021), fu accolta con stupore e turbamento all’interno del partito. Soltanto l’anno precedente, i radicali avevano ottenuto un notevole successo alle elezioni politiche e l’idea di rinunciare alle competizioni locali sembrava contraddire ogni logica elettorale. Eppure, fu proprio in quel momento, in un contesto di vittoria e non di crisi, che Pannella dimostrò per l’ennesima volta una visione strategica fuori dal comune. La sua intuizione fu chiara: un partito d’opinione, per sua natura, non può e non deve adattarsi alle logiche locali, spesso nocive, dove il consenso è determinato da fattori legati al “particulare” diversi da quelli ideali.

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Lo dimostrano i risultati ottenuti alle elezioni politiche del 2022, quando le forze riconducibili a Renew Europe (l’allora Terzo Polo e +Europa) ottennero complessivamente il 10,6% dei consensi. Lo dimostrano persino le elezioni europee dello scorso giugno, quando l’ennesimo scisma liberale vanificò il complessivo 7,1% ottenuto da Stati Uniti d’Europa e Azione. Numeri che non hanno entusiasmato chi crede in un’alternativa al bipolarismo, ma comunque ben più significativi e gratificanti delle percentuali ottenute sui territori.

La lezione radicale è oggi dimenticata dai partiti di quell’area, costretti a scegliere periodicamente tra una candidatura terza ma insignificante e un annacquamento dei propri contenuti in coalizioni più grandi. Il risultato è sempre il medesimo: l’irrilevanza. Mi chiedo quindi perché costoro non decidano di rispolverare lo spirito della mozione radicale del 1980 e comprendere che le battaglie liberali possano essere meglio declinate su un piano più generale.

Sfruttare le proprie energie per una modifica del sistema elettorale, per una riforma della giustizia in senso garantista, per una revisione effettiva della spesa pubblica, per l’inserimento del nucleare nel mix energetico nazionale, per l’abbattimento delle corporazioni a favore di politiche concorrenziali. Magari questo consentirà ai partiti liberaldemocratici di essere finalmente decisivi e credibili agli occhi dei cittadini nella chiarezza dei patti elettorali. Fino ad allora l’esito sarà sempre lo stesso: nessuna centralità per i centristi.

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