Cosa è tollerabile e cosa no L’Iran rivendica l’attentato a Netanyahu e la comunità internazionale fa spallucce

che anche questo è un gesto della multiforme e legittima resistenza opposta all’illegittima azione israeliana

Iuri Maria Prado 23 Ottobre 2024 alle 15:28 ilriformista.it lettura2’

Non è inspiegabile il fatto che, prima della rivendicazione iraniana, il tentato assassinio del primo ministro di Israele fosse finito nel pastone delle cose ordinarie. Un lancio di agenzia tra i tanti, in mezzo alle ultime sul meteo e sui tornei di tennis. Ma neppure la notizia di quella rivendicazione – peraltro assai poco stupefacente – darà alla vicenda il rango che meriterebbe. E si spiega, appunto.

È lo stesso meccanismo che svilisce al livello di una passabile routine il bombardamento di aprile su Israele, trecentocinquanta tra droni, missili e razzi, o quello successivo, centottanta missili balistici ancora una volta lanciati sui civili dello Stato Ebraico. Due atti di guerra destinatari dell’attenzione che si riserva alle minuzie di cronaca, non senza il puntuale commento secondo cui dopotutto quelle due ondate di ordigni neppure facevano troppo danno. Come per l’attentato a Bibi: “Manco era in casa”, usciva di bocca l’altro giorno a qualche buontempone televisivo. Come a dire: non mettiamola giù tanto dura.

L’idea che prendere di mira Benjamin Netanyahu non significa prendere di mira Benjamin Netanyahu, ma il primo ministro Israeliano, neppure arriva a lambire l’orizzonte mentale di quei commentatori. Joe Biden, quando spararono a Donald Trump, non disse che avevano tentato di uccidere un suo avversario, un politico, un candidato alla presidenza o altro: disse che era un attentato alla democrazia degli Stati Uniti. Ma chi, nei giorni scorsi e ancora ieri, avesse voluto trovare qualcosa di simile a proposito del tentativo di uccidere il capo di governo dello Stato Ebraico, ebbene inutilmente avrebbe cercato tra le dichiarazioni dei ministri, dei parlamentari e dei diplomatici assai poco avari, normalmente, nell’affidare alle agenzie e ai social le proprie ruminazioni sulle malefatte israeliane.

E questo è il punto significativamente esemplare: sul Netanyahu criminale di guerra e genocida è lecito, anzi doveroso, fare la quotidiana requisitoria proprio perché – si spiega – Israele è una democrazia, vale a dire un ordinamento che va protetto in quanto tale quando a rappresentarlo è chi ne delegittimerebbe le fondamenta. Un ragionamento che evidentemente cessa di funzionare se quella democrazia è aggredita da chi vuole eliminarne il legittimo rappresentante. Perché è intollerabile che la democrazia israeliana abbia “quel” primo ministro a piede libero. Ma è tollerabile, o comunque trascurabile, che abbia “il” primo ministro assassinato.

Senza troppi infingimenti, poi, da quel rivelatore silenzio su un simile atto di aggressione fa capolino la ciccia dell’atteggiamento diffuso: e cioè che anche questo è un gesto della multiforme e legittima resistenza opposta all’illegittima azione israeliana. Perché se Israele uccide in Libano Hassan Nasrallah, in Iran Ismail Haniyeh e a Gaza Yahya Sinwar, ebbene in base a quale titolo la comunità internazionale dovrebbe condannare il tentato assassinio, in Israele, del primo ministro israeliano? Anche Israele ha attentato all’ordine democratico di Hamas e di Hezbollah: è comprensibile che sia chiamato a risponderne.

Iuri Maria Prado

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