Rimpatri. Pure l'Olanda scopre che la lista di paesi sicuri non basta a fare rimpatri
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Mentre in Italia si dibatte sul caso dell'Albania, Amsterdam non garantisce quasi mai il diritto alla protezione a chi proviene da Marocco, Tunisia e perfino Ucraina.
Francesco Gottardi 23 ott 2024 ilfoglio.it lettura2’
Mentre in Italia si dibatte sul caso dell'Albania, Amsterdam non garantisce quasi mai il diritto alla protezione a chi proviene da Marocco, Tunisia e perfino Ucraina. L'esecutivo di ultradestra promette ancora più rigore, ma il numero di rimpatri effettivi è ancora di determinazione incerta
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L’Aia. Non è un nodo soltanto italiano. La questione dei rimpatri e degli stati d’origine a fare da discriminante sul futuro dei richiedenti asilo, trova una particolare interpretazione nei Paesi Bassi. La sua lista dei “18 paesi sicuri”, stilata dal governo include Marocco, Tunisia, perfino l’Ucraina (la cui designazione nell’elenco è soltanto temporaneamente sospesa, per ovvie ragioni). Spiegano da Amsterdam che “i rifugiati provenienti da questi paesi non hanno quasi mai diritto alla protezione”. Una linea guida con lo scopo di elaborare più rapidamente le numerose domande d’asilo.
Numeri alla mano, l’Olanda va anche oltre la suddetta lista. Secondo VluchtelingenWerk Nederland – una ong locale sull’immigrazione riconosciuta dall’Onu, che cita dati Eurostat –, essere menzionati nel registro ha un effetto determinante. Nel 2023, per esempio, è stato respinto in prima istanza il 92,6 per cento delle domande provenienti dalla Tunisia (soltanto 10 i richiedenti accolti), il 96,4 di quelle marocchine e il 98,5 di quelle algerine. Allo spettro opposto troviamo invece la Siria (96,1 per cento di rifugiati accolti), lo Yemen (99,1) e l’Afghanistan (88,8). Ma non mancano le zone d’ombra, anche attorno ad altri paesi in situazione di forte instabilità sociopolitica: nello stesso periodo è stato rigettato il 40,5 per cento delle richieste irachene e il 43,3 per cento di quelle egiziane – in questi ultimi due casi, 215 persone destinate al rimpatrio. Per Pakistan e Bangladesh, la quota sale addirittura oltre l’80 per cento.
Il quadro precedente non tiene conto delle decisioni maturate in appello, che ribaltano il verdetto in poco più di un caso su due. Inoltre, una richiesta respinta non coincide col rimpatrio immediato. L’Olanda si limita a sottolineare una procedura teoricamente chiara: “I richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta definitivamente devono lasciare il paese entro quattro settimane, dopodiché non riceveranno più riparo o alloggio. Le nostre autorità e quelle dello stato d’origine provvederanno a collaborare al rimpatrio”. Al contempo si fa presente: “Se i richiedenti asilo non hanno con sé alcun documento d’identità, per i Paesi Bassi è quasi impossibile consentire loro il ritorno nel paese d’origine”. Anche per questo il numero di rimpatri effettivi – soprattutto per i profughi di guerra, nei paesi fuori dalla lista – è di incerta determinazione.
Resta però la linea dura di Amsterdam, che con il nuovo esecutivo di ultradestra ha promesso massimo rigore lungo i propri confini. Fino alla tentazione di dirottare in Uganda i richiedenti asilo che si sono visti negare la domanda, in cambio di cospicui contributi finanziari allo stato africano. “Anche l’Unione europea sta lavorando a un elenco di paesi sicuri, ma non si sa quando sarà pronto”, spiega l’amministrazione governativa. “Ecco perché i Paesi Bassi, così come altri stati membri, ne hanno già stilata una”. Ma così come avvenuto con l’Italia nel caso Albania, predisporre una lista di paesi sicuri non basta ad aumentare i rimpatri.