L’Italia sta perdendo il treno della transizione verde? Il confronto con gli altri Paesi Ue e la minaccia di Cina e Usa
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L’Italia sarà anche la terza economia europea, ma quando si tratta di produzione di tecnologie verdi e creazione di posti di lavoro scivola al quinto posto.
20 Ottobre 2024 - 07:00 Gianluca Brambilla.oen.online lettura4’
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Secondo l'ultimo rapporto di Strategic Perspectives, Francia e Germania si accaparrano quasi metà degli investimenti sulle tecnologie pulite. L'Italia al quinto posto per produzione di tecnologie verdi
È quanto emerge dall’ultimo rapporto del think tank pan-europeo Strategic Perspectives, che fa il punto sulla corsa globale nel campo delle tecnologie net-zero: pannelli solari, pale eoliche, batterie, pompe di calore, elettrolizzatori per l’idrogeno e non solo. Nel 2023, si legge nel documento, gli investimenti nell’Unione europea hanno raggiunto quota 334 miliardi di dollari, in crescita di 76 miliardi rispetto all’anno precedente. I riflessi di questo processo si stanno facendo sentire soprattutto sul mercato del lavoro: nel 2022, 1,6 milioni di lavoratori sono stati impiegati esclusivamente nel settore delle rinnovabili, uno dei comparti che più riesce a creare nuovi posti di lavoro.
La competizione sfrenata con Usa e Cina
Il rapporto di Strategic Perspectives certifica che la transizione energetica riveste un ruolo di primissimo piano per l’economia europea. Nel 2023, si legge nel documento, il 30% della crescita economica Ue era legata proprio alla transizione a zero emissioni. A guastare i piani di Bruxelles ci pensano però la competizione di Cina e Stati Uniti. L’Inflation Reduction Act approvato dall’amministrazione di Joe Biden ha fatto temere una fuga degli investimenti oltreoceano.
Il maxi-piano di incentivi ha funzionato: nel giro di due anni, gli Usa sono riusciti a raddoppiare la capacità produttiva di clean tech e creare oltre 330mila posti di lavoro. Non solo: gli Stati Uniti si stanno posizionando anche come leader tecnologico del futuro, attirando più di un terzo degli investimenti globali in start-up che si occupano di energia pulita. Il balzo in avanti delle tecnologie verdi americane non è andato a svantaggio dell’Unione europea, che nel 2023 si è confermata come seconda destinazione più attraente per gli investimenti del settore net-zero.
La dipendenza dell’Europa da Pechino
Al primo posto c’è la Cina, dove si concentrano il 39% degli investimenti mondiali (654 miliardi di dollari solo nel 2023). L’ambizione di Pechino è creare un monopolio mondiale delle tecnologie pulite, inondando il mercato di prodotti cinesi. Il gigante asiatico controlla già gran parte della catena di valore dell’eolico e del solare e prevede di quadruplicare la produzione di batterie entro il 2030. A certificare questa situazione ci hanno pensato gli ultimi dati Eurostat su import ed export di prodotti energetici verdi, ossia pannelli solari, turbine eoliche e biocarburanti liquidi.
Nel 2023, scrive l’ufficio statistico dell’Ue, il 98% dei pannelli fotovoltaici importati dai paesi europei è arrivato da Pechino. Per quanto riguarda le pale eoliche, il 59% è arrivato dall’India e il 29% dalla Cina. Nel complesso, l’Ue ha importato molti più prodotti energetici verdi di quanti ne ha esportati. Nel 2023, precisa l’Istat, i paesi europei hanno importato pannelli solari per 19,7 miliardi di euro e biocarburanti liquidi per 3,9 miliardi. Solo con le turbine eoliche il bilancio dell’Ue è in attivo, con le importazioni ferme a 300 milioni di euro e le esportazioni che hanno superato quota 2 miliardi.
Se si guarda alle performance dei singoli stati europei, l’Italia appare in ritardo nella corsa verso la nuova industria verde. Nel 2023, il nostro Paese ha investito 25 miliardi di dollari nella transizione verso le emissioni zero, meno di quanto hanno fatto Francia, Germania e Spagna. Il livello di investimenti, fa notare Strategic Perspectives, è paragonabile a quello registrato in Svezia e Paesi Bassi, che rappresentano però mercati molto più piccoli.
«Se l’Italia rallenta la trasformazione a emissioni zero dell’economia nazionale, rischia di perdere i posti di lavoro, la competitività e le nuove attività economiche che offre. Ancora peggio, rischia di lasciare tutte le opportunità economiche di questa nuova era industriale alla Cina e agli Stati Uniti», avverte Neil Makaroff, direttore di Strategic Perspectives. Se si guarda ai posti di lavoro creati nei settori delle rinnovabili e delle pompe di calore, l’Italia si ferma a quota 110mila, superata da Germania (354mila), Francia (150mila), Spagna (168mila) e Polonia (212mila).
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STRATEGIC PERSPECTIVES | I lavoratori impiegati nei settori delle rinnovabili e delle pompe di calore (unità di misura: migliaio)
Il rischio di un’Europa «a due velocità»
Tra i Paesi che più stanno mettendo gli occhi sulle opportunità della transizione energetica c’è la Polonia, che ambisce a diventare il polo produttivo delle clean tech dell’Europa centrale. Spagna e Danimarca spingono sull’energia eolica, creando migliaia di posti di lavoro, mentre l’Italia nel 2022 si è classificata al secondo posto tra i Paesi Ue per posti di lavoro nel settore delle pompe di calore. Se si guarda al totale delle tecnologie verdi, Francia e Germania si accaparrano quasi metà degli investimenti (il 45%). Secondo gli esperti, questo squilibrio rischia di creare un’Europa a due velocità anche nella corsa alle tecnologie pulite.
Le incognite del «Clean Industrial Deal» annunciato da Bruxelles
Il rapporto di Strategic Perspectives scatta un’istantanea del posizionamento dell’Ue a livello globale nella corsa verso l’industria a zero emissioni. Una questione di cui si discute da anni a Bruxelles e che a breve tornerà al centro del dibattito politico. Dopo l’approvazione del Green Deal nella scorsa legislatura, la nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen sta lavorando a un «Clean Industrial Deal», una strategia che punta a rafforzare la manifattura delle clean tech. «L’Europa si trova in una corsa a tre con due giganti. Nessun paese europeo può competere da solo con la potenza della Cina o con il dominio tecnologico degli Stati Uniti», osserva il direttore di Strategic Perspectives. Nel 2026 scade il maxi piano di finanziamenti del Next Generation EU e a Bruxelles ancora non si è trovato un accordo per un eventuale nuovo round di investimenti da finanziare con debito comune.