IL BRACCIO DESTRO IN ITALIA DI ELON MUSK, ANDREA STROPPA, EVOCA IL COMPLOTTONE SULLE MAZZETTE-SOGEI,
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NON HA TUTTI I TORTI - SATELLITI DI MUSK, ALTERNATIVA ALLA COSTOSISSIMA FIBRA, HA FATTO SALTARE GLI OTOLITI A KKR-FIBERCOP E OPENFIBER:
17 ott 2024 16:25 dagoreport, dagospia.com lettura6’
LA DIGITALIZZAZIONE BALLA SUI MILIARDI DEL PNRR - NON SOLO: È IN ATTO UNA GUERRA APERTA DI STARLINK A TIM PER OTTENERE L'ACCESSO ALLE FREQUENZE NECESSARIE PER CONNETTERE LE STAZIONI DI RICEZIONE SATELLITARE AI TELEFONINI - NON E' FINITA: INFURIA LA BATTAGLIA TRA KKR E PALAZZO CHIGI SU OPEN FIBER..
DAGOREPORT
Gli arresti per corruzione a Sogei non sono solo la solita storia di mazzette all'italiana e presunti dirigenti corrotti.
Innanzitutto perché la Società GEnerale d’Informatica non è un’azienda pubblica qualunque: è la banca dati informatica dello Stato che si occupa non solo delle tessere sanitarie, fatturazione elettronica e codici fiscali, etc.; fra i suoi progetti strategici c'è la digitalizzazione del nostro Paese.
In manette è finito Paolino Iorio, dg di Sogei beccato mentre si intascava una mazzetta da 15mila euro dall'’imprenditore Massimo Rossi, presidente, Ad e azionista della società informatica Digital Value.
Iorio ha ammesso di aver ricevuto in totale “circa 100 mila euro in nero” da Massimo Rossi, in cambio dell’impegno ad acquistare prodotti e servizi” da Italware e Itd Solution, entrambe facenti parte del gruppo Digital Value, “per un valore complessivo di 98,6 milioni di euro (da Italware srl) e 5,7 milioni (da Itd Solution spa)”.
Un metodo che sarebbe stato esteso anche ad altre gare relative al comparto Difesa. E qui entra in gioco il capitano di fregata della Marina Militare, Antonio Angelo Masala, altra figura chiave dell’inchiesta.
Come scrive “Open”, Masala è quello “che avrebbe gestito più soldi con Massimo Rossi. A Rossi aveva pensato di affidare l’intera gara, da 180 milioni, […] per la […] manutenzione di tutta la rete informatica del ministero della Difesa, hardware e software, inclusa la manutenzione degli apparecchi guasti, la sostituzione, i “patch” per problemi informatici.
Per una cosa così non basta una mazzetta e infatti Masala avrebbe organizzato le cose in modo che Rossi coinvolgesse un’azienda che faceva riferimento a lui, la Vipa, e poi in un secondo momento, l’inserimento nella «catena di vendita» di un’azienda in cui la moglie Valentina Patrignani è socia, la Olidata, che avrebbe ottenuto 4,5 milioni”.
Il classico giro di bustarelle e tangenti in cambio di appalti truccati? Non proprio, o non solo. A differenziare il caso dalle decine di altre inchieste sulla corruzione, c’è Andrea Stroppa, il braccio destro dell’uomo più ricco del mondo.
Stroppa è il referente italiano di Elon Musk, nonché “gancio” tra il visionario fondatore di Tesla e SpaceX e Giorgia Meloni, ed è indagato per aver ricevuto, proprio da Antonio Angelo Masala, un documento del ministero degli Esteri.
Che c’entra Musk con l’elefantiaca macchina amministrativa italiana? E perché il “suo” uomo è indagato? Il genietto Stroppa, che ha lavorato a lungo con Marco Carrai e fu nominato consulente anti-fake news da Renzi (per la passione per i datori di lavoro dall’ego smisurato, bisognerebbe chiamare Freud), ha subito gridato al complotto: “Abbiamo toccato dei business. Ci si scotta”. E forse, questa volta, non c’è andato troppo lontano.
Sono in molti, infatti, a non aver gradito il progressivo avvicinamento di Elon Musk al governo Meloni. Non tanto, o non solo, per i bacetti e gli occhioni dolci che Giorgia e il ketaminomane sudafricano si sono scambiati all’Atlantic Council di New York tre settimane fa, piuttosto il possibile ingresso di Musk nel traballante mercato tlc italiano.
Il ketaminico Elon, infatti, grazie alla sua super rete di satelliti in orbita bassa, si è detto pronto a connettere, in barba alla fibra, l’Italia tutta, anche le aree le più impervie entro 9 mesi. Come scriveva Paolo Mastrolilli su “Repubblica” il 28 settembre: potrebbe farlo “ad una frazione del costo che sarebbe invece necessario per la rete realizzata dai provider tradizionali.
Ci sarebbero vantaggi economici e logistici, secondo il punto di vista di Starlink, perché il progetto attuale si basa sui finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in ritardo, e porterebbe solo il cavo nelle regioni da collegare. A questo poi bisognerebbe aggiungere i lavori per le connessioni nelle case e negli edifici, e abbonamenti costosi.
Musk invece, continua Mastrolilli, offre di fare il matching dei fondi stanziati dal governo, e quindi in sostanza di mettere lui la metà dei soldi necessari a realizzare il progetto. Starlink poi non avrebbe bisogno delle infrastrutture fisiche di cui si servono i provider tradizionali e porterebbe il servizio direttamente agli utenti”.
Musk, che è svalvolato ma non è scemo, non è un benefattore che opera come un Ong. Semplicemente, ha subodorato lo stato di decomposizione economica del settore Tlc in Italia e ha messo in campo il suo braccio destro Stroppa.
Anche perché, in tale garbuglio digitale, c'è in ballo la cuccagna miliardaria del Pnrr sulla digitalizzazione, che potrebbe saltare. Come scriveva ieri Giovanni Pons su “Repubblica”: “Il piano Italia 1 Giga di cablatura nelle aree grigie, appaltato quasi in parti uguali ai due operatori (Fibercoop e OpenFiber), va avanti molto a rilento. Solo il 29% dei numeri civici sono stati passati con la fibra e avanti di questo passo si rischia di non arrivare al traguardo entro giugno 2026, data stabilita per accedere ai 3,6 miliardi messi a disposizione dal Pnrr, di cui il 30% già anticipato”.
E qui, in questa guerra per bande, una cristalleria fragilissima di interessi e miliardi, piomba l’elefante Musk, inviso a mezzo mondo ma caro a Trump e alla Ducetta: grazie al fondo Pnrr, i suoi satelliti sono pronti a cablare lo Stivale, un'alternativa alla costosissima fibra perché evita di scavare km e km per inserire cavi. Ovviamente, una volta che il governo Meloni, prenderà una decisione su Starlink, occorrerà il semaforo verde da Bruxelles, dove il magnate della Tesla è visto come fumo negli occhi (vedi gli ambigli rapporti con Putin).
Quella di Starlink è una corsa contro il tempo perché fra due anni saliranno nell'alto dei cieli anche i satelliti a bassa orbita di Amazon (piano "Kuiper"). Un tale giramento di satelliti che sarebbe un sollievo economico per chiunque abbia un cellulare in tasca, cioè tutti, cosa che ha subito fatto saltare gli otoliti non solo a Fibercop-Kkr e alla malconcia Open Fiber ma soprattutto ai principali gestori telefonici, in particolare Tim, con cui da mesi Starlink porta avanti un cruento duello per ottenere l'accesso alle frequenze per le stazioni di ricezione satellitare necessarie per attivare i telefonini.
E non è finita. I rapporti tra KKR e il Governo sono molto tesi. Il fondo americano, che ha sganciato 22 miliardi di euro per papparsi il 37,8% della società nata dalle ceneri della rete Tim, e non ha intenzione di vedersi sfilare la golosa torta miliardaria da Musk, attraverso Fibercop sta intavolando una guerra senza quartiere all’unico concorrente, l’ormai disastrata Open Fiber, di cui pure lo Stato è azionista (il 60% è in mano a CDP, il resto il fondo Mcquarie), per svalutarla, di fatto, e papparsela con un piatto di lenticchie al momento della creazione della fantomatica rete unica.