La normalità del 6 ottobre che non riesce a tornare, nemmeno per noi

È in queste occasioni che si capisce con chiarezza che la libertà d’espressione non coincide con la libertà di trasformare i terroristi in eroi del mondo libero

08 ott 2024 lettere Direttore ilfoglio.it lettura3’

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Al 7 ottobre penso spesso, ma più frequentemente la mia mente va al 6 ottobre. Di quel giorno ricordo tutto, a cominciare dalla normalità fatta di telefonate di lavoro, famiglia, un viaggio in treno con ritorno a tarda sera, la paura di bucare la sveglia puntata all’alba. Purtroppo quel suono l’ho sentito, e dalle 5.30 ho iniziato il mio turno al telegiornale, dove abbiamo dovuto dare, già alle prime luci del giorno, notizie la cui proporzione era, ancora, completamente sconosciuta. Sono state necessarie ore, se non giorni, per capire l’immensità della catastrofe che si era abbattuta sul mondo; ed è proprio questa netta percezione dell’esistenza di un prima e un dopo a far rimbalzare continuamente la mia mente a quel 6 ottobre in cui ci siamo permessi una normalità che da lì in poi è stata stravolta ogni giorno di più. Una normalità che, nonostante sia passato un anno, non accenna a tornare nemmeno per noi, cittadini italiani. Una pagina tetra che è fatta di svastiche sui muri, di cortei pieni di odio, di messaggi violenti, misure di sicurezza, catenine con la stella di David tolte per timore, limitazioni, ma soprattutto della diffidenza nascosta in gesti che la gente crede impercettibili – o di cui forse davvero non ha consapevolezza – ma che ogni giorno aprono squarci e ferite, strappi che noi stessi facciamo fatica a confessare. Frasi mozze, gesti mancati, parole dette apertamente – troppe anche quelle riferite – eppure tanto, tanto realistiche, e poi i silenzi, più che eloquenti. Per contro, occorre sottolineare, e dovremo ricordarlo anche e soprattutto in futuro, quale differenza abbia fatto chi ha deciso di esserci, chi ha continuato a chiamarci, a credere in noi sul lavoro, a non lasciarci indietro ma al contrario, a spingerci avanti infondendo sostegno e coraggio, chi ha avuto la forza di non mollarci mentre frequentare persone di religione ebraica diventava – pur senza alcuna spiegazione – progressivamente sempre più impopolare, poco “politicamente corretto”, scomodo; chi ha continuato a coinvolgerci, a invitarci a cena, a metterci una mano sulla spalla senza considerarci radioattivi. Vitale è stato chi ha continuato a parlare con noi dei temi che ci interessavano e ci coinvolgevano anche prima del 7 ottobre, chi non ha smesso di scherzare con noi, chi ci ha riconosciuto e restituito una normalità, una dimensione di singolarità estranea a quel “voi” che significa nulla e sta lì per spersonalizzarci. Naturalmente sono informata sulla situazione in medio oriente, ma amo ancora parlare dei temi relativi alle donne, mi appassionano i diritti, vado al lavoro ogni giorno e spesso a teatro con i miei figli, li rimprovero perché giocano troppo alla PlayStation, faccio sport, butto soldi per comprare vestiti che non metto, cucino cose che imparo su TikTok, seguo abbastanza morbosamente la politica italiana. Rimaniamo persone, individui, con idee, posizioni diverse, amori, vizi, umori, incoerenze, ambizioni, anche se è più comodo, più funzionale, più socialmente accettato e mainstream individuare un gregge indistinto di cui faremmo parte, un “voi” dai confini offuscati e falsi su cui buttare paure e colpe e nascondere, più di qualche volta, i propri timori e un po’ di viltà. Anche chi punta il dito indiscriminatamente contro i “voi” astratti è parte, più o meno consapevole, di un gregge. Resistiamo insieme, rimaniamo persone.

Nathania Zevi

“L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto dell’arte non è la bruttezza, è l’indifferenza. L’opposto della fede non è l’eresia, è l’indifferenza. E l’opposto della vita non è la morte, è l’indifferenza” (Elie Wiesel).

Al direttore - “Merde sioniste, viva Hamas”, “il 7 ottobre è iniziata la rivoluzione”, “Intifada fino alla vittoria” e, per maggiore chiarezza, “fuori Israele dal medio oriente” hanno gridato al corteo di Roma per la Palestina. È in queste occasioni che si capisce l’importanza di difendere la libertà di repressione.

Roberto Alatri

È in queste occasioni che si capisce con chiarezza che la libertà d’espressione non coincide con la libertà di trasformare i terroristi in eroi del mondo libero.

Al direttore - In quest’anno funesto le manifestazioni di vicinanza a Israele e agli israeliani son passate da un “mi dispiace” durato due giorni a un repentino “ve la siete cercata” per finire con un “il 7 ottobre ve lo siete proprio meritato”, frase che va per la maggiore in certi circoli in questo primo anniversario. Chissà quali altre manifestazioni di vicinanza sentiremo nei prossimi mesi. Se da un lato seguo la traiettoria del cortocircuito che porta una certa sinistra su queste posizioni non capisco perché il mondo cattolico, dopo anni passati a dirsi fratelli minori degli ebrei, non prenda una posizione decisa contro questa deriva. Sperare, digiunare e pregare per costruire la pace va bene, ma la pace è una cosa concreta fatta di carne e sangue, come la fratellanza. Non sono solo pensieri e parole.

Alessandro Silva

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