Trumpismi nostrani Perché l’Italia è ancora e sempre la terra promessa del populismo

Nel nuovo modo di condurre la lotta politica c’è molto di antico, almeno per noi,

8.10.2024 La Linea Francesco Cundari, linkiesta.it lettura3’

scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Ieri sera, ospite di Otto e Mezzo, Marco Travaglio ha illustrato le ragioni per cui da un anno, a suo giudizio, Benjamin Netanyahu può andare avanti per la sua strada «incontrastato e impunito». E cioè un grande vuoto di potere anzitutto negli Stati Uniti, dove c’è alla Casa Bianca «un uomo che non ci sta più con la testa» e dove c’è pure «la sua vice, che nonostante la testa ce l’abbia ancora è soltanto una grande ipocrita», perché finge di voler fermare Israele, ma in realtà non fa nulla per fermarlo davvero. Arrivato a questo punto, nella mia infinita ingenuità, mi aspettavo che l’analisi proseguisse con la terza figura chiave della politica americana, Donald Trump, e con parole ancora più dure di quelle riservate a Joe Biden e Kamala Harris.

Se ai leader democratici Travaglio rimproverava di non aver fatto abbastanza per fermare Netanyahu, o di aver solo fatto finta di volerlo fermare, mi dicevo, chissà quante ne dirà a chi lo appoggia esplicitamente e anzi lo incoraggia ad andarci giù ancora più duro.

Ma non avevo fatto in tempo a formulare questi pensieri che Travaglio era già passato all’Europa, e ovviamente a Emmanuel Macron, bersaglio prediletto di quel vasto fronte politico-culturale che in Italia va dall’estrema destra all’estrema destra. Su Trump, neanche una parola.

 

Non credo si tratti di un caso.

Ovviamente il punto non è il parere di Travaglio, ma una caratteristica fondamentale della politica e del dibattito pubblico al tempo del populismo, emersa chiaramente nel 2016, con il referendum sulla Brexit e l’elezione di Trump, e da noi con la surreale campagna di tutte le opposizioni contro il referendum istituzionale voluto da Matteo Renzi, ben rappresentata dagli striscioni dei neofascisti di Casapound contro la «deriva autoritaria», che si confondevano con gli analoghi slogan della sinistra radicale e di insigni costituzionalisti democratici. Non si tratta solo del meccanismo, tante volte analizzato, capace di far convivere, anche attraverso un sapiente uso dei social network, istanze totalmente contraddittorie, spiegando ad esempio ai cacciatori che l’Unione europea avrebbe messo fuori legge la caccia e agli animalisti che avrebbe fatto il contrario, per incassare così il voto degli uni e degli altri.

 

C’è qualcosa di più antico nel modo in cui Trump – ma anche, ad esempio, Giorgia Meloni – riesce a intercettare il consenso dei più accaniti sostenitori di Netanyahu e dei suoi più accesi detrattori, senza che le due fazioni vengano mai a scontrarsi, forse perché convinte, ciascuna di loro, che sia l’altra a non avere capito il raggiro (per quanto riguarda Meloni, si potrebbe fare un discorso simile pure sull’Ucraina). In Italia, perlomeno, ho la sensazione che questo nuovo modo di giocare trovi un terreno particolarmente propizio, già preparato da tempo. Cercando nella memoria le radici del fenomeno mi è tornata in mente un’intervista a Vanity Fair, anche questa proprio del 2016, in cui Alessandro Di Battista parlava di suo padre Vittorio, fascista dichiarato, ricordando un aneddoto illuminante. Questo: «Avevo 18 anni, ero con la mia famiglia a Corfù. Vediamo arrivare un panfilo. Papà dice: “Andiamo a vedere se lì c’è D’Alema”. Prendiamo il gommoncino e affianchiamo la sua barca. Era lui. Mio padre si sporge sul gommone e inizia a urlargli contro: “Hai tradito i valori della sinistra, ti sei venduto al capitale e all’imperialismo americano”. D’Alema rimane immobile. Anni dopo, mi ritroverò a ripetere quelle frasi all’interno del Parlamento».

Ecco, nell’immagine di un fascista che corre a urlare forsennatamente contro un politico di avere tradito «i valori della sinistra» (valori che lui, l’urlatore, ovviamente si guarda bene dal rispettare, anzi depreca), e nel testimone ideale che in questo modo passa al figlio, mi pare ci sia tutto o quasi tutto il necessario per rispondere alle domande che avevo lasciato in sospeso.

Se ci pensate, in fondo, il comportamento di Di Battista padre non è molto diverso da quello di certi sostenitori di Trump impegnati a spiegarci che i democratici sono degli ipocriti perché fingerebbero solamente di voler fermare Netanyahu.

E lo stesso si potrebbe dire di gran parte degli argomenti dei sostenitori di Meloni contro la sinistra. Non per niente, la radice politico-culturale è sempre quella. La stessa che Di Battista padre, se non altro, ha sempre orgogliosamente rivendicato.

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