L’infamia secondo la premier.Il blitz alla Corte costituzionale rivela la natura del governo. Domani si vota per assegnare il seggio vacante

alla Consulta prima che i giudici inizino a occuparsi dell’autonomia regionale. E il tentativo di occupazione della suprema corte…..

7 Ottobre 2024 La Linea Francesco Cundari, linkiesta.it lettura3’

Domani si vota per assegnare il seggio vacante alla Consulta prima che i giudici inizino a occuparsi dell’autonomia regionale. E il tentativo di occupazione della suprema corte non ci dice solo quale concetto abbia l’esecutivo Meloni dello stato di diritto, ma anche qualcosa della sua naturale affinità con Donald Trump, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Il blitz per assegnare il seggio vacante alla Consulta prima che la corte inizi a occuparsi dell’autonomia regionale, il 12 novembre, è pianificato per domani, come rivelato nei giorni scorsi dalla fuga di notizie relativa a chat e sms in cui si precettavano i parlamentari della maggioranza. Un colpo a sorpresa, dopo aver lasciato credere che si sarebbe aspettata la fine dell’anno, quando si dovranno sostituire altri tre giudici. Il piano ha suscitato la sacrosanta indignazione della segretaria del Pd, Elly Schlein, che ha giudicato «gravissimo anche solo averlo appreso dalla stampa» e stigmatizzato «questa concezione proprietaria delle massime istituzioni della Repubblica».

L’esito del voto di domani dirà dunque qualcosa sullo stato di salute della maggioranza, ma anche dell’opposizione, giacché per raggiungere il quorum (tre quinti, pari a 363 voti) occorrerebbe il cento per cento dei parlamentari del centrodestra, compresi quelli eletti altrove, o più verosimilmente qualche aiutino esterno. Ragion per cui la rivelazione della manovra ha subito alimentato il sospetto, nel fu campo largo, di un accordo sottobanco tra centrodestra e cinquestelle (o magari di una contropartita per gli accordi precedenti, ad esempio sulla Rai). Ma dovrebbe indurre qualche riflessione autocritica anche tra Pd e tra i commentatori di area, oggi così gravemente preoccupati per l’equilibrio dei poteri, a proposito di quel sistema maggioritario da loro sempre strenuamente difeso (e anche del taglio lineare dei parlamentari varato nella scorsa legislatura, che ha reso il gioco ancora più facile).

Comunque finisca, l’intenzione del governo è di per sé piuttosto rivelatrice.

Anche perché il candidato della maggioranza sarebbe Francesco Saverio Marini, attuale consigliere giuridico della presidente del Consiglio, vale a dire la persona che ha contribuito a scrivere materialmente la riforma del premierato. Ma il tentativo di occupazione della Consulta, per far sì che siano gli stessi autori delle riforme a doverne giudicare la conformità alla Costituzione, non ci dice solo quale concetto abbia il governo Meloni dello stato di diritto e della divisione dei poteri (in breve: lo stesso di Viktor Orbán). Ci dice anche qualcosa della sua naturale affinità con Donald Trump, prima parzialmente camuffata per motivi tattici, e adesso, in vista del suo possibile ritorno alla Casa Bianca, sempre più esibita, non fossero bastate la clamorosa inversione di rotta sull’Ucraina sancita dal voto al Parlamento europeo sulle restrizioni all’utilizzo oltreconfine delle armi occidentali, le smancerie con Elon Musk al ricevimento dell’Atlantic Council o la fuga precipitosa da New York per evitare di essere presente (fisicamente, cioè fotografabilmente) al vertice con Volodymyr Zelensky organizzato da Joe Biden (e vai a capire chi dei due l’avrebbe imbarazzata di più, adesso).

C’è però un altro dettaglio rivelatore in questa vicenda, che ha meno a che fare con l’America e più a che fare con la storia d’Italia.

Dopo la prima fuga di notizie, infatti, tutti i giornali hanno riportato anche la reazione di Giorgia Meloni, affidata agli stessi canali: «L’infamia di pochi mi costringe a non aver più rapporti». Definire chi ha parlato un infame – non sleale, scorretto o semplicemente un farabutto – è una scelta lessicale che mi pare meritevole di attenzione.

Lo segnalo, in particolare, a beneficio di quegli infaticabili apologeti che si ostinano a voler vedere in lei, Meloni, una via di mezzo tra Margaret Thatcher e Mario Draghi.

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