PQM Giù le mani dal mio processo, lo scandalo Ilva e la difficile difesa della imparzialità del Giudice

L’esperienza professionale e la realtà giurisprudenziale ci dicono che i giudici italiani, in linea di massima, non amano vedere messa in discussione la propria imparzialità

Gian Domenico Caiazza 6 Ottobre 2024 alle 11:25 ilriformista lettura3’

Giù le mani dal mio processo, lo scandalo Ilva e la difficile difesa della imparzialità del Giudice

L’esperienza professionale e la realtà giurisprudenziale ci dicono che i giudici italiani, in linea di massima, non amano vedere messa in discussione la propria imparzialità. Vivono spesso le istanze di ricusazione, legittima suspicione, e finanche di incompetenza territoriale o funzionale, come una specie di offesa personale. Se la condizione di incompatibilità con il giudizio è sollevata dal Giudice medesimo, con conseguente sua astensione, ovviamente nulla quaestio; ma se il problema lo pone il difensore, la cosa non è per niente gradita, è sospetta, perché agli occhi del giudice nasconde ad un tempo una gratuita e velenosa insidia in danno del principio del giudice naturale, ed una sottintesa, oltraggiosa sfiducia verso la virtù fondamentale della sua imparzialità.

Processo “nullo” dopo 11 anni

Va da sé che le cose non stanno così, naturalmente; sono le regole processuali che presidiano con grande severità l’imparzialità e la terzietà del giudice, regole per la verità in buona parte validate da una giurisprudenza di legittimità altrettanto rigorosa (con la clamorosa eccezione della legittima suspicione); ma il Giudice di merito tende di regola a resistere, per il puntiglio personale di cui sopra certamente, ma a maggior ragione se il processo è particolarmente rilevante, per le questioni trattate e per il suo rilievo mediatico.

La questione è interessante, e merita di essere approfondita, cosa che facciamo in questo numero di PQM, sollecitati dal recente, clamoroso esito del processo ILVA di Taranto, che la Corte di Assise di Appello non ha infine potuto evitare di dichiarare nullo sin dalla celebrazione della sua udienza preliminare, dopo quasi 11 anni. Si è gridato allo scandalo, e sono d’accordo, purché si chiarisca bene quale sia lo scandalo, cosa che la sentenza (leggetene la sintesi in quarta pagina) aiuta a comprendere perfettamente.

Lo scandalo del processo Ilva a Taranto

Lo scandalo sta appunto nel fatto che la eccezione difensiva era stata sollevata immediatamente, 11 anni fa. Questo processo non si può celebrare a Taranto, si disse, per molte ragioni in verità, fra le quali una è davvero assolutamente insuperabile: la costituzione di parte civile nel processo di tre giudici che, all’epoca dei fatti oggetto delle imputazioni, esercitavano le proprie funzioni a Taranto. La norma è esplicita, la giurisprudenza della Corte di Cassazione – ed è quasi un unicum – non conosce nemmeno una sola eccezione a quella regola. Prima due giudici della udienza preliminare (perché fu celebrata due volte), poi la Corte di Assise liquidarono con sdegno l’eccezione, invocando princìpi che ripetutamente la Suprema Corte aveva, nei decenni, giudicato irrilevanti (due di quei giudici sono intanto andati in pensione, il terzo ha poi revocato la costituzione in giudizio, questi erano gli argomenti).

La profezia sul processo illegittimo

Spiace citarmi ma, all’esito di questa decisione della Corte di Assise, in una intervista ad un giornale locale che ancora conservo dissi (2017): sappiate che stiamo celebrando un processo illegittimo, in appello o in Cassazione sarà certamente annullato. Non era, badate, l’unica questione che le difese avevano posto. Prima fu sollevata la legittima suspicione, ma la stessa Cassazione disse: non possiamo affermare il principio che i processi ambientali non possano celebrarsi nel luogo del disastro (invece sarebbe un’ottima idea, ndr), solo perché tutti i magistrati che vivono in quella città sono potenziali danneggiati. Fu ritenuta inammissibile, per pretestuose questioni procedurali che vi risparmio, la ricusazione della Presidente della Corte, che (tra le altre cose) abitava con la sua famiglia in uno dei tre quartieri nei quali, secondo l’imputazione, si era verificato il disastro ambientale. E infine questa eccezione ex art. 11 cpp, insuperabile.

Non è mai un buon segno – di terzietà ed imparzialità, intendo – quando un giudice vuole, a tutti i costi, trattenere a sé un giudizio che, all’evidenza, non può e non deve trattenere: o mi sbaglio?

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata